Nesso causale: il giudizio controfattuale ha ad oggetto l’evento dannoso

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Nell'accertamento del nesso causale la condotta alternativa lecita va messa in relazione all'evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l'indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa. A confermarlo è la 


Cassazione con ordinanza 27 settembre 2024, n. 25825.

C.S., poiché avvertiva dolori persistenti alla schiena, e dopo aver effettuato una risonanza magnetica, si è rivolto alle cure del dottor L.T., il quale ha diagnosticato una lombosciatalgia, priva di interessamento neurologico ed ha escluso la necessità di un intervento chirurgico.

Tuttavia, persistendo i dolori, C.S. ha consultato un secondo specialista, il quale ha diagnosticato un’ernia discale bilaterale ed ha consigliato invece l'intervento chirurgico.

Fidando in tale diagnosi, il C.S. si è ricoverato presso una clinica specialistica, accreditata con il servizio sanitario nazionale, dove è stato informato verbalmente da altro sanitario della natura dell'intervento cui stava per essere sottoposto e della possibilità, sia pure rarissima, che potessero derivare danni permanenti al sistema nervoso.

Effettuato l'intervento, sin dai primi giorni, il C.S. ha cominciato ad accusare difficoltà nella minzione e poi successivamente difficoltà nella deambulazione, fino a subire la paresi degli arti inferiori.

In conclusione, è derivata al ricorrente dall'intervento in questione una invalidità del 100% ed altresì una sindrome depressiva secondaria dovuta per l'appunto alla impossibilità di deambulare in cui si era venuto a trovare il paziente.

Inoltre, costui, che era dipendente presso una sede sindacale di Roma con l'incarico di segretario provinciale, ha dovuto rinunciare a tale lavoro e concordare uno scioglimento anticipato del rapporto.

Il Tribunale, adito da C.S., ha proceduto a consulenza tecnica, che ha accertato la responsabilità medica dei convenuti non solo per l'erronea esecuzione dell'intervento ma altresì per avere scelto di effettuare un intervento chirurgico anziché un trattamento non invasivo.

Di conseguenza, il Tribunale, accogliendo la domanda dell'attore, ha condannato i convenuti al risarcimento del danno, ed in particolare ha condannato uno dei medici convenuti per la negligente scelta di intervenire chirurgicamente, al pagamento della somma di 432.914,00 euro, mentre ha condannato un altro medico per l'incompletezza delle informazioni date al paziente.

Ha inoltre condannato la struttura sanitaria, a titolo di inadempimento del contratto di spedalità.

Tutti e tre i soggetti condannati in primo grado hanno proposto appello.

La Corte di appello di Lecce ha accolto l'appello principale, nonché gli appelli incidentali.

Contro tale pronuncia ricorre C.S. con tre motivi di ricorso.

La S.C., in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata.

Il Supremo Collegio, in particolare, rileva la fondatezza del terzo motivo, che denuncia un errore nel ragionamento controfattuale di accertamento del nesso di causalità.

In sostanza, la Corte di merito ha escluso la rilevanza causale della scelta di procedere all'intervento chirurgico e lo ha fatto con un ragionamento controfattuale del tutto errato, in quanto ha ritenuto che, ove fosse stato evitato l'intervento chirurgico, e ove si fosse optato per un intervento non invasivo o conservativo, quest'ultimo non avrebbe comunque sortito i suoi effetti così come era già accaduto in passato.

Soprattutto, l'errore di ragionamento controfattuale sta nel fatto che l'efficacia causale dell’antecedente, ossia la scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non andava valutata rispetto all'evento guarigione, ma rispetto all'evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente.

In altri termini, il giudizio controfattuale andava effettuato chiedendosi se l'intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l'intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l'interessato guarendolo dalla patologia.

Nell'accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all'evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l'indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa. Invece, i giudici di appello, come si è detto prima, hanno effettuato l'indagine controfattuale considerando quale evento non già il danno subìto, ma l'inefficacia terapeutica del trattamento, e dunque un evento diverso, di cui il ricorrente non si duole.

Non v’è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: ed occorreva chiedersi se, evitare l’intervento, avrebbe evitato la paralisi. L’evento che, per il ricorrente, ha costituito danno è, per l’appunto, la paralisi, non la mancata guarigione dalla lombosciatalgia, e dunque la questione causale è conseguente: stabilire se la condotta alternativa lecita avrebbe evitato quell’evento, non altro (la mancata guarigione dalla lombosciatalgia).

In altri termini, il ragionamento controfattuale, come svolto dai giudici di appello, può esprimersi nel modo seguente: “il trattamento conservativo non era necessariamente da preferire in quanto già in passato si era dimostrato inefficace", quando invece l'assunto del ricorrente era: “il trattamento conservativo era da preferire in quanto avrebbe evitato i danni permanenti, poco importando la sua efficacia curativa”.

Il giudizio controfattuale consiste nella verifica della fondatezza di questa seconda proposizione linguistica, non della prima.

Come è evidente, l'efficacia causale della condotta alternativa lecita, ossia del trattamento conservativo, che era richiesto di accertare, non era quella di comportare la guarigione ma quella ben diversa di evitare il danno permanente.

Detto in termini semplici: il consiglio dato dagli altri medici di non fare l'intervento chirurgico, bensì trattamenti meno invasivi, non necessariamente era giustificato dalla maggiore efficienza di questi ultimi, ma ben poteva essere giustificato dalla minore rischiosità di essi, che è cosa ben diversa anche sul piano della individuazione dell'evento rispetto a cui effettuare il giudizio controfattuale.

E, dunque, la corte di merito avrebbe dovuto valutare se la condotta alternativa lecita (trattamento meno invasivo) era da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, ma per via del fatto che garantiva, a differenza di quella di fatto tenuta, di evitare il rischio: se cioè vi sia stata colpa nella scelta dell’intervento chirurgico alla luce di tale previsione.

Né può dirsi che si tratta di un giudizio di fatto, qui non censurabile, in quanto è in gioco il criterio con cui si accerta il fatto, ossia il criterio con cui si accerta se l’evento sia riconducibile ad un antecedente colposo.

Esito del giudizio:

Cassa, con rinvio, la Sentenza di Corte d'Appello Lecce n. 1125/2020 depositata il 25/11/2020.

 

 

Fonte: Wolter Kluwer - Altalex

https://www.altalex.com/documents/2024/10/04/nesso-causale-giudizio-controfattuale-oggetto-evento-dannoso

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