Annullamento ai soli effetti civili della sentenza penale di
assoluzione del medico: quali regole processuali e probatorie si applicano nel
successivo giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p.?
L'annullamento della sentenza penale relativamente ai capi
della sentenza che concernono l'azione civile con rinvio al giudice civile non
è una novità nel nostro ordinamento.
La previsione - assente nel codice del 1865 in quanto l'art.
675 c.p.p. del 1865 prevedeva nel caso di annullamento della sentenza impugnata
un rinvio al giudice penale - compare per la prima volta nel codice del 1913
(codice Finocchiaro-Aprile).
L'art. 525 c.p.p. del 1913, infatti, disponeva: «Se la Corte
di cassazione annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che
concernono l'azione civile, proposta a norma dell'art. 7 (relativo appunto
all'azione civile esercitata nel processo penale), rinvia la causa al giudice
civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento abbia
per oggetto una sentenza della corte di assise».
La previsione è stata mantenuta ferma nel codice del 1930
(codice Rocco).
L'art. 541 c.p.p. del 1930, infatti, disponeva: «La Corte di
cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che
riguardano l'azione civile proposta a norma dell'art. 23 (relativo
all'esercizio dell'azione civile nel processo penale), rinvia la causa quando
occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello».
La norma, rispetto a quella precedente del codice del 1913,
differisce:
per la locuzione «quando occorre», che si riferisce al fatto
che il rinvio è superfluo quando la Suprema Corte può provvedere
all'annullamento senza rinvio;
per la precisazione, di mera natura formale, che
l'annullamento al giudice civile di appello va disposto anche se si tratta di
sentenza inappellabile, in luogo della precedente che si riferiva al caso di
annullamento di sentenza della Corte di assise, che nel sistema del codice del
1913 era inappellabile.
La previsione nel codice del 1989 (codice Pisapia-Vassalli)
da un lato è stata mantenuta ferma e, dall'altro lato, implementata.
L'art. 622 c.p.p. attualmente vigente, infatti, dispone:
«Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla
solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se
accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento
dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in
grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza
inappellabile».
Tale norma, pertanto:
stabilisce la fermezza degli effetti penali della sentenza,
che costituisce una novità rispetto ai codici precedenti, che non implica un
riferimento necessario a un accertamento della responsabilità penale in quanto
vi rientrano anche gli effetti derivanti dalla dichiarazione di estinzione del
reato (Cass. pen., sez. un., 18 luglio 2013, n. 40109);
disciplina due ipotesi eterogenee di rinvio della causa al
giudice civile competente per valore in grado di appello:
la prima, che corrisponde a quanto già previsto all'art. 541
c.p.p. del 1930, concerne l'ipotesi di annullamento delle sole disposizioni o
capi che riguardano l'azione civile (art. 622, primo periodo, c.p.p.),
fattispecie che si può realizzare nel caso in cui la sentenza penale di
condanna sia impugnata vuoi dall'imputato (art. 574 c.p.p.), vuoi dalla parte
civile (art. 576, prima parte, c.p.p.) (un esempio è quello di errata
liquidazione dei danni);
la seconda, che costituisce una novità rispetto ai codici
precedenti, concerne l'ipotesi di accoglimento del ricorso della parte civile
contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato (art. 622, secondo periodo,
c.p.p.) proposto anche ai soli effetti della responsabilità civile (art. 576,
seconda parte c.p.p.). Il legislatore, con tale ipotesi, si è adeguato al
dictum delle Sezioni Unite penali che, intervenute a suo tempo in ordine
all'applicabilità dell'art. 541 c.p.p. del 1930, avevano affermato che, una
volta emessa la sentenza di legittimità, il rapporto processuale civile
inserito nel processo penale era esaurito e doveva proseguire nella sua sede
naturale in quanto la funzione della norma era quella di svincolare la lite
civile dal processo penale non appena fossero cessate le ragioni che
costringevano la lite civile in quella sede perché prevaleva la pretesa
punitiva e, pertanto, avevano risolto il contrasto in ordine all'individuazione
del giudice di rinvio in caso di accoglimento da parte della Suprema Corte del
ricorso proposto dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento,
ampliando per diritto vivente l'ambito di applicazione del citato art. 541
c.p.p. del 1930 (Cass. pen., sez. un., 30 novembre 1974, n. 306); la citata
sentenza delle Sezioni Unite penali è intervenuta a seguito di due sentenze
della Consulta:
la prima che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'art. 195 c.p.p. del 1930, per contrasto con l'art. 111, comma 2, Cost.,
nella parte in cui non consentiva l'impugnazione contro la sentenza di
proscioglimento, salvo il capo relativo al pagamento delle spese e al
risarcimento del danno in favore dell'imputato prosciolto (Corte Cost., 22
gennaio 1970, n. 1);
la seconda che aveva dichiarato, invece, l'illegittimità
costituzionale dell'art. 23 c.p.p. del 1930, per contrasto con l'art. 111,
comma 2, Cost., nella parte in cui escludeva che il giudice penale potesse
decidere sull'azione civile anche quando, concluso il procedimento penale con
sentenza di proscioglimento, l'azione della parte civile, a tutela dei suoi
interessi, proseguisse in sede di cassazione ed eventuale giudizio di rinvio
(Corte Cost., 17 febbraio 1972, n. 29);
prevede, analogamente al codice del 1930, il rinvio «quando
occorre», locuzione che si riferisce al fatto che il rinvio è superfluo quando
la Suprema Corte può provvedere all'annullamento senza rinvio ex art. 620,
lett. l), c.p.p.
La Consulta ha ritenuto che tale norma trovi la sua
giustificazione nella particolarità della fase processuale collocata all'esito
del giudizio penale di cassazione, dopo i gradi (o l'unico grado) di merito
(Corte Cost., 12 luglio 2019, n. 176).
Negli anni le due ipotesi di rinvio al giudice civile
competente per valore previste dall'art. 622 c.p.p. - che sono state ritenute
non tassative - sono state ampliate dalla giurisprudenza penale alle seguenti
ulteriori tre ipotesi:
nel caso in cui la Suprema Corte, su ricorso dell'imputato
ai soli effetti civili, accolga il ricorso avverso la sentenza con cui il
giudice di appello e, riformando la sentenza di condanna di primo grado, abbia
dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione o per amnistia e
confermi le statuizioni civili senza motivare in ordine alla responsabilità
dello stesso imputato agli effetti civili (Cass. pen., sez. un., 18 luglio
2013, n. 40109);
nel caso in cui la Suprema Corte, su ricorso dell'imputato
ai soli effetti civili, annulli ai soli effetti civili, per mancata
rinnovazione in appello di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, la
sentenza che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la
sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al
risarcimento del danno (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2016, n. 27620);
nel caso in cui la Suprema Corte, su ricorso dell'imputato
tanto agli effetti penali quanto agli effetti civili - fondato sull'esistenza
di un vizio di motivazione in punto di affermata responsabilità penale
dell'imputato condannato anche al risarcimento del danno in favore della parte
civile - accolga il ricorso e disponga l'annullamento senza rinvio del capo di
condanna penale in conseguenza del rilievo di una sopravvenuta causa di
estinzione del reato per prescrizione o amnistia (art. 578 c.p.p.) (Cass. pen,
sez. IV, 8 giugno 2017, n. 34878; Cass.
pen., sez. IV, 13 luglio 2016, n. 29627).
Tali ipotesi giurisprudenziali hanno come comun denominatore
l'accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato e sono
accomunate dal fatto che il rinvio agli effetti civili viene disposto solo dopo
che la causa penale è stata definitivamente risolta senza la condanna
dell'imputato e, soprattutto, senza un accertamento, neppure incidenter tantum,
della sua responsabilità penale.
Né l'art. 622 c.p.p. né alcun'altra norma sanciscono
espressamente quali siano le regole processuali e probatorie applicabili in
sede di giudizio civile di rinvio.
La questione è di non poco conto attesa l'assoluta diversità
di tali regole che potrebbe portare, con gli stessi elementi, a decisioni
diametralmente opposte.
In sede penale, infatti, la responsabilità è personale, vige
la presunzione di innocenza dell'imputato (art. 27 Cost.) e l'accusa deve
provare l'ipotesi accusatoria mediante l'accertamento concreto dell'elemento
psicologico e, cioè, la colpa, con la conseguenza che il ragionevole dubbio
sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva o commissiva del
responsabile comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata
dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio nei confronti del responsabile.
In sede civile, invece, esistono delle responsabilità che
prescindono dalla colpa quali:
la responsabilità contrattuale (esempi sono la
responsabilità del professionista nei confronti del cliente, la responsabilità
della struttura sanitaria e del medico privato nei confronti del paziente e, in
alcuni casi, dei suoi congiunti) che dispensa il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta dall'obbligo risarcitorio solo se prova che
l'inadempimento o il ritardo siano stati determinati da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile;
la responsabilità oggettiva (esempi sono: la responsabilità
per danni cagionati dagli ausiliari ex art. 1228 c.c., la responsabilità per
danni cagionati da un incapace ex art. 2047 c.c., la responsabilità dei padroni
e dei committenti ex art. 2049 c.c., la responsabilità per danni cagionati da
cose in custodia ex art. 2051 c.c., la responsabilità per danni cagionati da
animali ex art. 2052 c.c., la responsabilità per danni cagionati dalla rovina
degli edifici ex art. 2053 c.c., la responsabilità per danni cagionati da vizio
di costruzione del veicolo o difetto di manutenzione ex art. 2054, comma 4,
c.c.) che dispensa il responsabile solo se prova (in alcuni casi) di aver fatto
tutto il possibile per evitare il verificarsi del danno o (in altri casi) che
il danno è dovuto a un caso fortuito.
Il caso fortuito è tradizionalmente identificato nei
seguenti fatti connotati da impulso causale autonomo, imprevedibilità,
inevitabilità ed eccezionalità:
il fatto naturale come, a esempio, un terremoto, un
maremoto, uno tsunami;
il fatto del terzo;
il fatto della stessa vittima (per tutte: Cass. civ., sez.
un., 30 giugno 2022, n. 20943).
Al caso fortuito va certamente equiparato la forza maggiore
e, cioè, un evento che seppur è prevedibile non può essere impedito come, a
esempio, un evento atmosferico (Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2017, n.
25837).
Tale esimente della forza maggiore, mutuata dal sistema
penale che la prevede nell'art. 45 c.p., è qualificabile quale “vis cui resisti
non potest” (Cass. civ., sez. trib., 22 agosto 2023, n. 24976; Cass. civ., sez.
I, 5 luglio 2022, n. 21254; Cass. civ., sez. VI, 20 giugno 2018, n. 16190;
Cass. civ., sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13917; Cass. civ., sez. I, 7 luglio
2006, n. 15598; Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2006, n. 5825; Cass. civ., sez. I,
14 dicembre 2001, n. 15832; Cass. civ., sez. lav., 5 dicembre 1986, n. 7240).
In sede civile, ancora, ai fini dell'accertamento della
responsabilità, sia contrattuale che extracontrattuale, acquistano rilievo:
le allegazioni difensive delle parti non specificamente
contestate e, quindi, da ritenersi pacifiche e/o non contestate, ex art. 115,
comma 1, c.p.c. e, perciò, sussistenti per la ragione che l'atteggiamento
difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti
richiesti atteso che la necessità di provare un fatto insorge solo se sia
specificamente (e non solo genericamente) contestato (Cass. civ., sez. un., 23
gennaio 2002, n. 761);
le presunzioni semplici, ex artt. 2727 e 2729 c.c.;
le presunzioni legali di colpa (un esempio è quella del
conducente per i danni prodotti a persone o a cose dalla circolazione del
veicolo ex art. 2054, comma 1, c.c.) e di responsabilità (un esempio è quella
del proprietario per i danni prodotti a persone o a cose dalla circolazione del
suo veicolo ex art. 2054, comma 3 c.c.) che dispensano da qualunque prova
coloro in favore dei quali sono stabilite, con conseguente inversione
dell'onere della prova, per cui il ragionevole dubbio comporta l'accoglimento
della domanda risarcitoria del danneggiato;
le prove legali con cui la legge deroga al principio del
libero convincimento del giudice quali:
il giuramento decisorio, ex artt. 239 c.p.c. e 2738 c.c.;
l'atto pubblico, ex art. 2700 c.c.;
la scrittura privata, ex art. 2702 c.c.;
il telegramma equiparato alla scrittura privata, ex art.
2705 c.c.;
i libri e le scritture contabili, ex art. 2709 c.c.;
le riproduzioni meccaniche, quali fotografiche,
informatiche, cinematografiche, registrazioni fonografiche ed ogni altra
rappresentazione meccanica, ex art. 2712 c.c.;
le taglie o le tacche di contrassegno, ex art. 2713 c.c.;
le copie di atti pubblici, ex art. 2714 c.c.;
le copie di scritture private originali depositate presso
pubblici uffici e spedite da pubblici depositari autorizzati, ex art. 2715
c.c.;
l'atto di ricognizione o di rinnovazione, ex art. 2720 c.c.;
la confessione giudiziale, ex art. 2733 c.c.;
le dichiarazioni aggiunte alla confessione, ex art. 2734
c.c.;
la confessione stragiudiziale, ex art. 2735 c.c., categoria
completamente sconosciuta in sede penale (Cass. civ. sez. un., 18 novembre
2008, n. 27337).
In sede penale il nesso causale tra condotta ed evento va
dichiarata sussistente in tutti i casi in cui, senza la condotta, l'evento non
si sarebbe verificato, e dunque secondo la tradizionale teoria della condicio
sine qua non.
Tuttavia, in tal caso, per stabilire questo rapporto di
condizionamento, il nesso di causa non può ritenersi esistente sol perché la
statistica indica un certo effetto come “probabile” conseguenza di una
condotta, ma può dichiararsi solo quando la condotta alternativa corretta, che
il responsabile avrebbe dovuto tenere e non tenne, avrebbe evitato il danno con
«alta credibilità razionale» e, cioè, con certezza quasi assoluta (Cass. pen.,
sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328).
In sede civile, invece, il nesso causale tra condotta ed
evento va verificato in base alla diversa «regola della preponderanza
dell'evidenza o del più probabile che non» (Cass. civ., sez. un. 11 gennaio
2008, n. 581; conf. Cass. civ., sez. un., 21 maggio 2019, n. 13661; Cass. civ.,
sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768; Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2008, n.
27337; Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584; Cass. civ., sez. un., 11
gennaio 2008, n. 583; Cass. civ., sez. un. 11 gennaio 2008, n. 582; Cass. civ.,
sez. un., 11 gennaio 2008, n. 579; Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n.
577; Cass. civ., sez. un. 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. civ., sez. un., 30
ottobre 2001, n. 13533).
I due concetti, spesso usati indifferentemente, differiscono
tra loro in quanto:
il principio del “più probabile che non” si riferisce al
grado di conferma che le prove acquisite conferiscono all'ipotesi statistica
che deve essere, com'è avvenuto nel caso in esame, superiore al 50%;
il principio della “preponderanza dell'evidenza” si
riferisce ai casi in cui vi siano più ipotesi causali in conflitto fra loro,
tra le quali deve prevalere quella che, comparativamente, ha la più elevata
probabilità logica.
Il nesso causale, in base a detti principi, in presenza di
più ipotesi di diversa incidenza probabilistica, tra loro incompatibili o
contraddittorie, può dirsi sussistente:
in base al principio della «probabilità prevalente» (Cass.
civ., sez. lav., 1 agosto 2024, n. 21714; conf. Cass. civ., sez. III, 24 giugno
2024, n. 17374; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2024, n. 16580; Cass. civ.,
sez. II, 31 gennaio 2024, n. 2951; Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2023, n.
10978; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2023, n. 6386; Cass. civ., sez. III, 2
settembre 2022, n. 25884; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2018, n. 7778; Cass.
civ., sez. VI, 28 ottobre 2015, n. 22050; Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2012,
n. 7554; Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2012, n. 7552; Cass. civ., sez. III, 5
maggio 2009, n. 10285);
in mancanza di altre «meno improbabili cause» (Cass. civ.,
sez. III, 20 febbraio 2018, n. 4024; conf. Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2016,
n. 11789);
in base al principio della «probabilità relativa che
ciascuna ipotetica causa può avere rispetto alle altre» (Cass. civ., sez. III,
20 febbraio 2018, n. 4024; conf. Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2015, n.
3390);
«in ragione della specificità del caso concreto, senza
potersi fare meccanico e semplicistico ricorso alla regola del 50% plus unum»
(Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2020, n. 122; conf. Cass. civ., sez. III, 26
luglio 2017, n. 18392; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7768; Cass.
civ., sez. III, 29 febbraio 2016, n. 3893; Cass. civ., sez. III, 29 settembre
2015, n. 19213; Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2015 n. 11159; Cass. civ., sez.
III, 6 maggio 2015, n. 9008; Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23933;
Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 2012, n.
17143; Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991; Cass. civ., sez. III, 8
luglio 2010, n. 16123; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741).
In sede penale la capacità a testimoniare è generale, ex art
186 c.p.p. e pertanto:
da un lato, non ci sono norme che rendano incapace a
testimoniare il soggetto avente nella causa un interesse che potrebbe
legittimare la sua partecipazione al giudizio;
dall'altro lato, la parte civile ben può essere esaminata (o
escussa) come testimone, ex art. 208 c.p.p., fermo restando l'obbligo del
giudice di un cauto e motivato apprezzamento del contenuto delle sue
dichiarazioni che possono essere condizionate dall'interesse portato dal
dichiarante.
In sede civile, invece:
il soggetto che ha nella causa un interesse che può o
potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio è incapace a
testimoniare, ex art. 246 cc;
il danneggiato non può testimoniare, sia se parte del
processo sia se non parte del processo, in quanto incapace.
La giurisprudenza di legittimità penale, negli anni, ha
costantemente ritenuto che il giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. è
soggetto alle regole probatorie e processuali del processo penale in quanto il
giudice civile, chiamato ad applicare l'art. 185 c.p., è tenuto ad accertare,
sia pure incidenter tantum, l'esistenza del reato in tutte le sue componenti
obiettive e soggettive e, pertanto, ha disposto che «il giudice civile del
rinvio, tenendo conto dei principi sopra ricordati e della scelta delle parti
civili di coltivare l'azione civile nel processo penale, dovrà valutare la
sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri del diritto
penale e non applicando le regole proprie del giudizio civile» (Cass. pen.,
sez. IV, 17 giugno 2019, n. 26565; conf. Cass. pen., sez. IV, 4 febbraio 2016,
n. 27045; Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2015, n. 11193).
La giurisprudenza di legittimità civile, in un primo
momento, si è allineata a quella penale e ha ritenuto che il giudizio civile di
rinvio ex art. 622 c.p.p. fosse un giudizio di rinvio in senso tecnico, del
tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio, quale
espressa dall'art. 392 c.p.c. e segg., così che la fase successiva
all'annullamento ex art. 622 c.p.p. fosse la prosecuzione di quello svolto in
sede penale e soggiacesse alla regola di cui all'art. 384 c.p.c. e, quindi, al
principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte penale (Cass. civ., sez.
III, 20 dicembre 2018, n. 32930 che ha affermato che «in caso di rinvio dopo
annullamento delle sole disposizioni civili di sentenza penale, i limiti e
l'oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di
cassazione»; conf. Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2018, n. 32929; Cass.
pen., sez. III, 9 agosto 2007, n. 17457; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004,
n. 13068; Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5800).
La giurisprudenza di legittimità civile, in un secondo
momento, ha rimeditato ab imis la questione e, melius re perpensa, si è
discostata dal suo precedente orientamento evocando il principio di autonomia e
separazione della giurisdizione penale e civile, nonché la diversa funzione
svolta dalla responsabilità civile in rapporto a quella penale.
La Suprema Corte civile, infatti, ha considerato che:
il giudice civile valuta la domanda risarcitoria non più
alla luce dell'art. 185 c.p., bensì alla luce delle norme relative alla
responsabilità aquiliana di cui agli artt. 2043 e segg. c.c.;
a fronte di quanto stabilito nell'art. 538 c.p.p., è il
necessario collegamento tra la condanna dell'imputato e l'azione civile della
persona offesa reato ex art. 185 c.p. a giustificare le deroghe stabilite nel
codice di procedura penale alle modalità di istruzione e accertamento del
diritto al risarcimento del danno; deroghe che, come rilevato dalla stessa
Consulta, devono essere ritenute ragionevoli solo nella misura in cui dipendono
dalle finalità del processo penale (Corte Cost., 29 gennaio 2016, n. 12).
La Suprema Corte civile, pertanto, ha ritenuto che:
il giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. deve essere
configurato alla stregua di giudizio autonomo (benché sui generis), sia in
senso strutturale che funzionale, essendosi realizzata la definitiva scissione
tra le materie sottoposte a giudizio, mediante la restituzione dell'azione
civile - con il giudizio di rinvio, che più opportunamente andrebbe definito di
rimessione - all'organo giudiziario cui essa appartiene naturalmente;
la Suprema Corte penale non ha il potere di vincolare il
giudice civile elaborando il principio di diritto cui il giudice civile deve
uniformarsi, ritenendo che gli artt. 173, comma 2, disp. att. c.p.p. e 384
c.p.c. siano applicabili con riferimento limitato alle ipotesi di rinvio in
senso tecnico;
il giudizio di fronte al giudice civile è soggetto alle
regole processuali e probatorie del processo civile, anche a prescindere dalle
contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio
(Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2019 n. 15859 che è il leading case anche se,
in precedenza, Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2017, n. 9358 aveva affermato
che nel giudizio di rinvio disposto ai sensi dell'art. 622 c.p.p. non è
ipotizzabile un vincolo paragonabile a quello derivante dall'enunciazione del
principio di diritto ex art. 384, comma 2, c.p.c.; conf., successivamente,
Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2024, n. 20351; Cass. civ., sez. III, 25 marzo
2024, n. 7955; Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2024, n. 2879; Cass. civ., sez.
III, 24 novembre 2023, n. 32761; Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2023, n. 31867; Cass. civ., sez.
III, 7 settembre 2023, n. 26130; Cass. civ., sez. III, 21 agosto 2023, n.
24954; Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2023 n. 6732; Cass. civ., sez. III, 7
marzo 2023, n. 6726; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2023, n. 6388; Cass. civ.
sez. III, 23 novembre 2022, n. 34397; Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2022, n.
30722; Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2022, n. 30496; Cass. civ., sez. III, 14 settembre 2022, n. 27016; Cass.
civ, sez. III, 12 settembre 2022, n. 26811; Cass. civ., sez. III, 30 agosto
2022, n. 25541; Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2022, n. 16169; Cass. civ., sez.
III, 21 marzo 2022, n. 8997; Cass. civ., sez. I, 8 marzo 2022, n. 7474; Cass.
civ., sez. III, 25 gennaio 2022, n. 2145; Cass. civ., sez. VI, 20 gennaio 2022,
n. 1754; Cass. civ., sez. VI, 5 novembre 2021, n. 32212; Cass. civ., sez. III,
29 settembre 2021, n. 26476; Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2021, n. 12661;
Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2021, n. 9128; Cass. civ., sez. III, 15
settembre 2020, n. 19190; Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2020, n. 15041; Cass.
civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n. 517; Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2019,
n. 25918; Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2019, n. 25917; Cass. civ., sez. III,
12 settembre 2019, n. 22729; Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22520;
Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22519; Cass. civ., sez. III, 10
settembre 2019, n. 22518; Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22516;
Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16916).
Tale overruling processuale della giurisprudenza di
legittimità civile ha avuto l'effetto, in sede penale, di creare contrasti
interpretativi con riferimento all'individuazione del giudice cui rimettere gli
atti in caso di accoglimento del ricorso dell'imputato ai soli effetti civili
e, in generale, sulla portata dell'art. 622 c.p.p.
Tre sono gli orientamenti che si sono affermati in sede
penale.
In base a un primo prevalente orientamento interpretativo,
in conformità al precedente orientamento penale in precedenza esposto,
l'annullamento della sentenza impugnata ai soli effetti civili va disposto con
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, perché la
ratio della detta previsione è quella di evitare ulteriori interventi del
giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali,
seppur evitando di enunciare il principio di diritto cui il giudice del rinvio
avrebbe dovuto uniformarsi (Cass. pen., sez. V, 21 settembre 2020, n. 27565;
Cass. pen., sez. V, 21 settembre 2020, n. 28848; Cass. pen., sez. V, 17
settembre 2020, n. 26217; Cass. pen., sez. V, 18 febbraio 2020, n. 16988; Cass.
pen., sez. V, 20 febbraio 2020, n. 14822; Cass. pen., sez. IV, 5 marzo 2020, n.
13869).
In base a un secondo minoritario orientamento
interpretativo, l'annullamento della sentenza impugnata ai soli effetti civili,
nel caso in cui vi fosse ancora una questione sull'an della responsabilità, va
disposto con rinvio al giudice penale in quanto questo accertamento deve essere
fatto secondo le regole probatorie e di giudizio proprie del processo penale
(in caso di mancata rinnovazione di una prova decisiva: Cass. pen. , sez. VI,
25 giugno 2020, n. 28215; Cass. pen., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 11958;
Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 2020, n. 12174; in caso di accoglimento del
ricorso presentato dall'imputato contro la sentenza di appello di condanna agli
effetti penali e civili, laddove è stato riscontrato un vizio di motivazione,
ed è stato disposto l'annullamento del capo penale per intervenuta
prescrizione: Cass. pen., sez. III, 9
gennaio 2020, n. 14229; Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2020, n. 9542; Cass.
pen., sez. IV, 26 febbraio 2020, n. 12174; Cass. pen., sez. IV, 13 febbraio
2020, n. 11958).
In base a un terzo isolato orientamento interpretativo, il
rinvio al giudice civile ai sensi dell'art. 622 c.p.p., non può essere disposto
qualora l'annullamento delle disposizioni o dei capi della sentenza impugnata,
concernenti l'azione civile, dipenda dalla fondatezza del ricorso dell'imputato
agli effetti penali (Cass. pen., sez. VI, 6 giugno 2019, n. 31921 che ha
ritenuto fondato il ricorso dell'imputato sul punto della riforma in appello
della sentenza assolutoria di primo grado, pur in assenza di rinnovazione
dell'istruttoria ex art. 603, comma 3-bis, c.p.p. e ha disposto l'annullamento
senza rinvio della sentenza agli effetti penali a seguito di estinzione dei
reati per prescrizione e anche agli effetti civili, in base al rilievo che il
rinvio al giudice civile avrebbe imposto a quest'ultimo di procedere
all'accertamento del fatto mediante applicazione dei principi di oralità e
immediatezza della prova estranei al sistema processual-civilistico.
Tale contrasto insorto nella giurisprudenza penale di
legittimità è stato rilevato dalla Quarta Sezione penale della Suprema Corte
che, con ordinanza 20/10/2020, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite a norma
dell'art. 618 c.p.p.
Le Sezioni Unite penali hanno risolto il contrasto e hanno
affermato il seguente principio di diritto: «in caso di annullamento ai soli
effetti civili, da parte della Corte di Cassazione, per la mancata rinnovazione
in appello di prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che in
accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione
di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento del danno, il
rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente
per valore in grado di appello» (Cass. pen., sez. un., 28 gennaio 2021, n.
22065).
Tale decisione rileva in questa sede in quanto le Sezioni
Unite penali, nella motivazione, hanno preso posizione sul contrasto insorto
tra le sezioni penali e civili in merito alle regole applicabili davanti al
giudice civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. competente per valore in grado di
appello e innanzi evidenziato e hanno affermato che «Con l'esaurimento della
fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed
essendo venuta meno la ragione stessa dell'attrazione dell'illecito civile
nell'ambito della competenza del giudice penale, risulta coerente con l'assetto
normativo interdisciplinare sopra descritto che la domanda risarcitoria venga
esaminata secondo le regole dell'illecito aquiliano, dirette alla
individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le
conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima.
L'annullamento e il conseguente rinvio al giudice civile competente comporta,
in caso di riassunzione, l'assunzione della veste di attore-danneggiato della
parte civile e di convenuto-danneggiante da parte di colui che nel processo
penale rivestiva il ruolo di imputato» (Cass. pen., sez. un., 28 gennaio 2021,
n. 22065).
Deve ritenersi, pertanto, per tutto quanto fin qui esposto,
che in caso di annullamento ai soli effetti civili della sentenza penale di
assoluzione del medico da parte della Suprema Corte penale e di conseguente
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, nel
relativo giudizio civile di rinvio si applicano le regole processuali e
probatorie civili, che sono certamente più favorevoli al danneggiato.
Per completezza espositiva va segnalato che l'art. 33, comma
1, lett. a), d.lgs. n. 150/2022 (c.d. “Riforma Cartabia”) ha modificato l'art.
573 c.p.p. (che disciplina l'impugnazione per i soli interessi civili) e ha
aggiunto il comma 1-bis che dispone: «Quando la sentenza è impugnata per i soli
interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se
l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione,
rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle
questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle
eventualmente acquisite nel giudizio civile».
Come evidenziato nella relazione illustrativa al d.lgs. n.
150/2022 «È stata disciplinata l'ipotesi dell'impugnazione per i soli interessi
civili, introducendo nel nuovo comma 1-bis dell'art. 573 c.p.p l'innovativa
regola del trasferimento della decisione al giudice civile, dopo la verifica
imprescindibile sulla non inammissibilità dell'atto svolta dal giudice penale».
La c.d. “Riforma Cartabia” non ha modificato l'art. 622
c.p.p. che, però, in base alla modifica dell'art. 573 c.p.p., seppur è rimasto
in vita, di fatto avrà un'applicabilità più limitata rispetto al passato in
quanto:
in caso di impugnazione della sentenza penale per i soli
interessi civili (che non sia ritenuta inammissibile), sia da parte
dell'imputato che dalla parte civile, il processo sarà immediatamente rinviato
al giudice civile e, pertanto, non potrà più giungere all'esame della Suprema
Corte penale (con conseguente inapplicabilità totale dell'art. 622 c.p.p.);
in caso, invece, di impugnazione della sentenza penale non
solo per gli interessi civili il processo proseguirà davanti al giudice penale
e, pertanto, potrà giungere, come in precedenza, all'esame della Suprema Corte
penale (con conseguente applicabilità dell'art. 622 c.p.p. in caso sia di
annullamento delle sole disposizioni o dei capi che riguardano l'azione civile,
sia di accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di
proscioglimento dell'imputato).
Fonte: IUS Responsabilità civile - RIDARE
https://ius.giuffrefl.it/dettaglio/10993755/responsabilita-medica-quali-sono-le-regole-processuali-e-probatorie-applicabili-in-sede-di-giudizio-civile-di-rinvio-ex-art-622-cpp?utm_campaign=IUSResponsabilit%C3%A0civile_01102024&utm_medium=email&utm_source=MagNews