Il giudice di merito può far ricorso alla prova
presuntiva ex art. 2729 c.c.
per fondare il proprio convincimento in punto di prova della sofferenza delle
lesioni, ma sulle sensazioni interiori, sugli stati d’animo, sulla
consapevolezza di dover morire non può adottarsi legittimamente alcun
ragionamento presuntivo in difetto di riscontro di documentazione medica e/o di
testi che sentirono esternazioni di tale tipo. È quanto si legge nell’ordinanza
della Cassazione n. 19506 del 16 luglio 2024.
G.M., C.G. e G.V. (rispettivamente figlio ed erede,
madre e fratello di G.A., deceduto il 25/2/2012) convenivano in giudizio
davanti al Tribunale di C. la Vittoria Assicurazioni chiedendo la condanna
della convenuta al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro occorso al
proprio congiunto A.G., allorquando questi, mentre era intento ad attraversare
a piedi viale A. con direzione ovest-est, era stato investito dal
motociclo condotto dal proprietario D. P. R. A. ed assicurato per la rca con la
spa Vittoria Assicurazioni, che procedeva sul predetto viale con direzione
nord-sud.
A seguito del sinistro A.G. riportava lesioni, che
alcuni mesi dopo lo conducevano alla morte.
Nella contumacia del D.P. si costituiva la compagnia
Vittoria Assicurazioni, eccependo il concorso di colpa dello sfortunato
pedone (che aveva attraversato la strada al di fuori delle strisce
pedonali), di cui anche alla sentenza di patteggiamento nelle more intervenuta;
e contestando alcune voci di danno (che, in tesi difensiva, non erano
ammissibili e/o comunque costituivano duplicazione e/o comunque erano non
dovute e/o esagerate).
Istruita la causa a mezzo di prova per testi e ctu
medico legale, il giudice di primo grado, accogliendo parzialmente la domanda
attorea, attribuiva al pedone vittima del sinistro un concorso di
responsabilità pari al 30% (in ragione della condotta colposa
consistita nell’effettuare l’attraversamento stradale fuori dalle strisce
pedonali presenti a distanza di circa venti metri rispetto al punto di urto
come ricostruito dalla Polizia Municipale intervenuta nell’immediatezza) e
condannava il D.P. e la Vittoria Ass.ni, in solido tra loro, al risarcimento
in favore degli attori, nei limiti del 70%, dei danni patrimoniali
e non patrimoniali subiti in conseguenza del sinistro.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado
proponeva impugnazione la compagnia Vittoria, che, dopo avere dedotto di avere
corrisposto agli appellati ulteriori somme in spontanea esecuzione della
sentenza stessa, ne chiedeva la riforma in punto di quantum debeatur.
La Corte d’appello di L’Aquila, decidendo sull’appello
principale della spa Vittoria Assicurazioni e sull’appello incidentale di G.M.,
C.G. e G.V.: in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarata la
esclusiva responsabilità di D.P.R.A. per la causazione del sinistro stradale
nel quale perse la vita G.A., rideterminati come in motivazione i conseguenti
crediti risarcitori spettanti agli appellanti incidentali e tenuto conto delle
somme già a questi ultimi corrisposti – nel corso del giudizio di primo grado e
in esecuzione della sentenza impugnata – dalla spa Vittoria Assicurazioni.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha
proposto ricorso la compagnia Vittoria Assicurazioni.
La S.C., in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio
la sentenza impugnata.
In particolare, il Supremo Collegio ha osservato che:
a) nella liquidazione del danno
biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione
della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c.,
deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso
concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, non
essendo rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in
misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziali (Cass. n.
12408/2011);
b) il riferimento al criterio di
liquidazione, predisposto dal Tribunale di Milano ed ampiamente diffuso
sul territorio nazionale, garantisce tale uniformità di trattamento, in
quanto questa Corte, in applicazione dell’art. 3 Cost.,
riconosce ad esso la valenza, in linea generale, di parametro di conformità
della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui
agli artt. 1226 e 2056 c.c.,
salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne
l'abbandono (Cass. n.
28290/2011);
c) il valore delle tabelle
milanesi va inteso non già nel senso che le dette tabelle ed i loro
adeguamenti siano divenute esse stesse in via diretta una normativa di
diritto, bensì nel senso che esse forniscono gli elementi per concretare il
concetto elastico previsto nella norma dell’art. 1226 c.c.
(norma questa che necessariamente viene in rilievo allorquando debba
liquidarsi il danno non patrimoniale, che per definizione non si presta ad
essere "provato nel suo preciso ammontare").
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Tanto premesso e ribadito, occorre aggiungere che:
a) ai fini della liquidazione del
danno non patrimoniale mediante l'applicazione del criterio
tabellare, il danneggiato ha l'onere di chiedere che la liquidazione avvenga
in base alle tabelle, ma non anche quello di produrle in giudizio, in quanto
esse, pur non costituendo fonte del diritto, integrano il diritto vivente
nella determinazione del danno non patrimoniale conforme a diritto (Cass. n.
33005/2021);
b) in assenza di diverse disposizioni di
legge, il danno alla persona dev'essere liquidato sulla base delle
regole vigenti al momento della liquidazione, e non già al momento del
fatto illecito (Cass. n.
19229/2022).
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Di tali principi di diritto non ha tenuto conto la
corte territoriale che, nel liquidare il danno terminale (tanatologico) ha
applicato le Tabelle di Milano del 2014, mentre avrebbe dovuto applicare quelle
pubblicate nel 2018, anteriori di oltre due anni rispetto alla data di
deliberazione della sentenza qui impugnata.
D’altronde, il ricorrente ha correttamente
specificato, come era suo onere fare, come, nel caso in esame, l’applicazione
delle tabelle milanesi avrebbe generato un esito maggiormente adeguato e
corretto, in relazione all’effettivo danno concretizzatosi, della
quantificazione operata dal giudice d’appello.
Invero, ha osservato che la corte territoriale, per il
danno tanatologico, ha utilizzato un mixtum tra il danno
biologico terminale, liquidato secondo i valori massimi delle Tabelle di Milano
2014, ed il danno catastrofale da lucida agonia, facendo riferimento ad un
criterio equitativo puro, che è stato superato dalle Tabelle di Milano 2018,
secondo le quali detto criterio può e deve essere esercitato mediante
l’utilizzo della personalizzazione fino al 50%.
Occorre aggiungere che il giudice di merito può far
ricorso alla prova presuntiva ex art. 2729 c.c.
per fondare il proprio convincimento in punto di prova della sofferenza
delle lesioni, ma sulle sensazioni interiori,
sugli stati d’animo, sulla consapevolezza di dover
morire non può adottarsi legittimamente alcun ragionamento presuntivo in
difetto di riscontro di documentazione medica e/o di testi che sentirono
esternazioni di tale tipo. In altri termini, come di recente precisato, una
volta ammessa la distinzione tra la sofferenza avente base organica (il c.d. “dolore
nocicettivo”) e la sofferenza non avente base organica (il c.d. “dolore
psicosociale”), non vi è alcuna implicazione reciproca tra l’una e l’altra;
dunque, è corretta la decisione di merito che, dinanzi ad un caso di
sopravvivenza quodam tempore, incrementi il risarcimento del danno
biologico temporaneo per tenere conto dell’intensità e della gravità delle
lesioni, ma non ravvisi un pregiudizio non patrimoniale da “lucida
agonia”.
Riferimenti
normativi
Art. 1226 c.c. Art. 2056 c.c. Art. 2729 c.c.
Esito
Cassa, con rinvio, la Sentenza della Corte d'Appello
dell’Aquila n. 1692/2020 depositata il 07/12/2020.
Cassazione civile, sez III, ordinanza
16 luglio 2024, n. 19506
Fonte: Wolters Kluwer - Altalex
https://www.altalex.com/documents/2024/07/18/danno-lucida-agonia-non-provarsi-presunzioni