A fronte del ricovero di un paziente l'obbligazione che sorge a carico della struttura sanitaria non si esaurisce nelle cure mediche, e nelle mere prestazioni alberghiere, ma include la protezione della persona destinataria dell'assistenza. L'adeguata sorveglianza del paziente rientra nella diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c. È quanto stabilito dal Tribunale di Pisa con sentenza del 25 settembre 2023, n. 1165.
Il fatto
La vicenda all’esame dell’adito Tribunale di Pisa attiene alla responsabilità della struttura sanitaria presso la quale si trovava ricoverata una giovane paziente, in vacanza in Italia, che era incorsa in una caduta da motocicletta. Paziente che, in conseguenza di tale fatto occorsole, manifestava, da subito e reiteratamente, episodi di disorientamento, agitazione e confusione mentale che l’avevano portata anche ad allontanarsi dal reparto presso cui si trovava ricoverata in assenza di autorizzazione da parte dei sanitari.
La vicenda si conclude con la morte della paziente: questa si lanciava nel vuoto dalla finestra della sua stanza che il personale aveva lasciato aperta.
La decisione del Tribunale di Pisa
Il Giudice toscano condanna la convenuta azienda ospedaliera al pagamento dei danni subiti dai prossimi congiunti della vittima (per perdita del rapporto parentale) e permette così alcune riflessioni sul profilo della diligenza che deve spiegarsi quando ad essere ricoverato sia (come accaduto nella specie) un soggetto che versi in stato di grave confusione mentale e disorientamento.
In ambito sanitario il profilo della responsabilità per omessa vigilanza involge specifiche valutazioni in punto di buone prassi inerenti alle migliori condotte di vigilanza (poste in essere attraverso mezzi contenitivi di natura meccanica e farmacologica e allo stesso tempo sensibili alla instaurazione di un rapporto medico paziente e della necessaria collaborazione che il paziente può offrire al piano di cure), nonché in punto di sistemi di sicurezza adottati dalla struttura al fine di eliminare eventuali rischi connessi a strutture o apparecchi pericolosi per l'incolumità dei degenti, e in punto di nesso di causalità con l'evento dannoso.
Appare utile richiamare quale sia l'approdo raggiunto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ancorché incentrato sulla figura tipica del paziente psichiatrico, assunto a soggetto "tipo" ma ugualmente utile al fine di tracciare un quadro di riferimento.
La Corte ha osservato in più di una occasione, a proposito della responsabilità per omessa vigilanza di una struttura sanitaria nei confronti di persona (anche non interdetta o non sottoposta ad intervento sanitario obbligatorio) ospite di un reparto psichiatrico, che il rapporto deve essere ricondotto nell'ambito contrattuale, ed in particolare nel contratto atipico di assistenza sanitaria che si sostanzia in una serie complessa di prestazioni che la struttura eroga in favore del paziente, sia di natura medica che latu sensu di ospitalità alberghiera, e nelle obbligazioni di assistenza e protezione.
Con la precisazione che, in ogni caso, l'adeguata sorveglianza del paziente rientra, anch’essa, nella diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. (Trib. Catanzaro sez. II, 5 aprile 2023, n. 560; Cass. civ. sez. III, ord. 26 maggio 2020, n. 9714).
Le cennate obbligazioni sono, poi, tutte destinate a personalizzarsi in relazione alla patologia del soggetto interessato alle cure.
Si è detto: «il responsabile delle cure mediche del paziente psichiatrico deve intendersi tenuto anche a far sì che al paziente, in caso di rischio suicidiario, sia impedito di accedere a materiali o a specifici ambienti fisici che possano agevolare la messa in atto di condotte autolesive» (Cass. pen. sez. IV, 27 luglio 2023, n. 32663).
In particolare, Cass. pen. sez. IV, 18 maggio 2017, n. 43476 ha ritenuto immune da censure l'affermazione di responsabilità per il reato di omicidio colposo di un medico del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per il suicidio di una paziente affetta da schizofrenia paranoide cronica, avvenuto qualche ora dopo che la medesima paziente, presentatasi in ospedale dopo avere ingerito un intero flacone di farmaci, era stata dimessa dal medico, senza attivare alcuna terapia e alcun meccanismo di controllo.
Così ricostruito il rapporto, ne discende che ai fini della ripartizione dell'onere probatorio, il paziente deve tendenzialmente provare solo l'avvenuto inserimento nella struttura, e che il danno si è verificato durante il tempo del suo inserimento (sottoposto alle cure o alla vigilanza del personale della struttura), mentre spetta alla controparte dimostrare di avere adempiuto la propria prestazione con la diligenza idonea ad impedire il fatto (Cass. civ. sez. III, 10 novembre 2010, n. 22818; Cass. civ. sez. III. 16 giugno 2005, n. 12965).
Con particolare riguardo ai pazienti con problemi psichiatrici, la Corte ha più volte affermato che la configurabilità di un dovere di sorveglianza a carico del personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente responsabilità risarcitoria per i danni provocati dal ricoverato, presuppone (soltanto) la prova della incapacità di intendere e di volere del soggetto (Cass. civ. sez. III, 10 novembre 2010, n. 22818; Cass. civ. sez. III, 20 marzo 1997, n. 2483).
Pertanto, a fronte della accertata incapacità (o minorata capacità) del paziente, grava sulla struttura sanitaria l'onere di fornire la prova liberatoria e cioè di avere adottato, nel caso concreto, tutte le cautele richieste volte ad evitare che si verificasse l'evento dannoso.
Per costante insegnamento della Corte di Cassazione, il contratto di ricovero produce, quale effetto naturale ex art. 1374 c.c., l'obbligo della struttura sanitaria di sorvegliare il paziente, in modo adeguato rispetto alle sue condizioni, al fine di prevenire che quegli possa causare danni a terzi o subirne. L'estensione ed il contenuto di tale obbligo di vigilanza variano ovviamente in funzione delle circostanze del caso concreto, nel senso che l'obbligo sarà tanto più stringente, quanto maggiore è il rischio che il degente possa causare danni o patirne (Cass. civ. sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22331; v. anche Trib. Milano sez. I, 1 giugno 2023, n. 4627).
L'obbligo di vigilanza e protezione del paziente, in quanto scaturente ipso facto dall'accettazione di quest'ultimo, prescinde dalla capacità di intendere e di volere di costui, né esige che il paziente sia sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio. Infatti, anche una persona perfettamente capace di intendere e di volere può avere bisogno di vigilanza e protezione per evitare che si faccia del male (come nel caso di degente non autosufficiente).
Deve aggiungersi che l'obbligo di vigilanza non è teleologicamente orientato alla prevenzione di alcuni specifici rischi, dovendo piuttosto essere adempiuto al fine di prevenire tutti i rischi potenzialmente incombenti sul degente, alla sola condizione che rientrino nello spettro della prevedibilità. La presunzione di cui all'art. 1218 c.c. gravante sulla struttura sanitaria è infatti una presunzione di colpa, dalla quale il soggetto onerato si libera dimostrando di avere tenuto una condotta diligente (Cass. civ. sez. III, n. 22331/2014 cit.; Trib. Cosenza sez. II, 13 maggio 2021, n. 1106).
Precisa Trib. Milano sez. I, 9 aprile 2019, n. 3513 «Ove un paziente ricoverato per disturbi mentali tenti il suicidio, riportando lesioni personali, la struttura sanitaria che l'aveva in cura risponde di tali lesioni, a prescindere dal carattere volontario od obbligatorio del trattamento sanitario praticato in concreto, non potendo quest'ultimo condizionare l'obbligo di sorveglianza da parte del medico e del personale sanitario (Cass. civ. sez. I, sentenza n. 11038 del 10/11/1997, Rv. 509677; Cass. civ. sez. III, sentenza n. 22818 del 10/11/2010, Rv. 615165; Cass. civ. sez. III, sentenza n.12965 del 16/06/2005, Rv. 582022). L'estensione ed il contenuto dell'obbligo di vigilanza di cui si è detto variano in funzione delle circostanze del caso concreto. Quell'obbligo sarà tanto più stringente, quanto maggiore è il rischio che il degente possa causare danni, o patirne.
Tuttavia, né la capacità di intendere e di volere, né l'assoggettamento del paziente ad un trattamento sanitario obbligatorio, sono presupposti necessari perché sorga l'obbligo di vigilanza».
Fonte: Wolter Kluwer - Altalex
https://www.altalex.com/documents/2023/11/07/doverosa-sorveglianza-paziente-evitare-autolesioni-suicidio