Errore diagnostico: danno da perdita di chance e da premorienza, di regola, non si cumulano

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Fermo il generale principio della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, in via eccezionale possono darsi ipotesi in cui il Giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che, oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. È quanto si legge nella sentenza della Cassazione del 19 settembre 2023, n. 26851.
L’Azienda USL Toscana Nord Ovest ricorre, sulla base di otto motivi, per la cassazione della sentenza n. 707 del 2020 della Corte di appello di Firenze, esponendo che:
- con ricorso ex art. 696-bis c.p.c., S. C. aveva chiesto l’esperimento di una consulenza tecnicapreventiva per l’accertamento del danno patito a séguito di errore diagnostico di patologia tumorale, con conseguente omissione terapeutica, correlati ad un intervento di quadrectomia con biopsia del linfonodo sentinella e successivo svuotamento ascellare per carcinoma duttale infiltrante G3, con determinazione recettoriale inizialmente refertata come negativa;
- l'intervento non era stato risolutivo e, negli anni seguenti, la malattia era recidivata, con ripetizioni metastatiche a livello polmonare e osseo che avevano consentito alla vittima di deambulare solo con l’ausilio due antibrachiali;
- l'errore diagnostico, addebitato ai sanitari dell'ASL, era stato allegato come commesso nell’esame di determinazione dell'assetto recettoriale sul pezzo operatorio effettuato presso l'Unità di Anatomia Patologica del presidio ospedaliero di Livorno nel 2006;
- l'errore era stato svelato nel 2010, quando era stata eseguita una revisione dei vetrini per la verifica dell'assetto recettoriale dello stesso pezzo operatorio presso l'Istituto Europeo Oncologico di Milano, dove fu constatato che il tessuto tumorale era fortemente ricettivo per entrambi i recettori; secondo l’assunto della ricorrente, quell'errore iniziale aveva determinato la mancata prescrizione della terapia ormonale, che avrebbe dovuto essere intrapresa nel 2007, al termine della chemioterapia, e che invece era stata iniziata soltanto nel 2010, quando ormai la malattia era evoluta al 4° stadio, con metastasi ossea e polmonare, dall'iniziale stadio 2B in cui la paziente si trovava al momento della originaria diagnosi;
- l’errore diagnostico, secondo l’istante, aveva determinato la riduzione delle probabilità di sopravvivenza, in particolare a 10 anni;
- secondo il consulente nominato nel giudizio di primo grado, la terapia ormonale sarebbe stata in grado di ritardare la comparsa di recidive della malattia che, comunque, sarebbero dipese dalla storia naturale della stessa, sicché la sua mancata instaurazione avrebbe anticipato, più che determinato, la recidiva stessa;
- al contempo, il perito aveva affermato che, al momento della prima diagnosi, errata, si sarebbe dovuto compiere un approfondimento citogenetico, instaurando una terapia a base di Trastuzumab (farmaco Hereceptin), dimostratasi efficace nel migliorare considerevolmente il tasso di sopravvivenza e l'intervallo libero dalla malattia nelle pazienti C-erb-2, riducendo, su base statistica, il rischio di recidiva, e, in minor misura, il rischio di decesso, indipendentemente dalla instaurazione di una terapia ormonale;
- il consulente, avvalendosi dell'analisi di un ausiliario oncologo, aveva concluso che, più probabilmente che non, la combinata instaurazione della terapia ormonale con quella di Trastuzumab avrebbe potuto prevenire la recidiva e la progressione della patologia tumorale, ritenendo di dover stimare i postumi permanenti riconducibili a tale aggravamento nella misura del 50% rispetto allo stato anteriore;
- S.C. aveva quindi convenuto, nel giudizio di pieno merito, la ASL, imputandole sia il danno differenziale che il rischio di sovramortalità;
- l'Asl si era costituita controdeducendo, in particolare: che la relazione peritale aveva indicato una condotta omissiva, causalmente colposa e rilevante, diversa da quella della mancata terapia ormonale, individuata nella mancata somministrazione del farmaco Trastuzumab; che il consulente d'ufficio aveva frainteso, con errori metodologici, i dati epidemiologici analizzati dall’ausiliario oncologo, non tenendo in debita considerazione, ai fini delle probabilità di recidiva, lo stadio iniziale della malattia della parte attrice, e sommando valori di riduzione del rischio riferiti sia all'uso del suddetto farmaco sia alla terapia ormonale, in assenza di studi specifici sul punto;
- la stessa azienda aveva sottolineato, quindi, che si era trattato non tanto di danno da perdita di “chance” quanto piuttosto della possibilità di prolungare l'intervallo libero da malattia, beneficiando di una migliore qualità della vita;
- la convenuta aveva allegato, infine, di aver già liquidato a S. C. una somma di 23 mila euro circa per i correlati danni sofferti in conseguenza della mancata diagnosi presso l'Unità di Radiologia del presidio ospedaliero di Cecina nel 2009;
- il Tribunale di Livorno aveva accolto la domanda, osservando, in particolare: che l'errore diagnostico era stato dimostrato ed era del resto pacifico; che la mancata somministrazione della ormonoterapia e del Trastuzumab aveva condizionato negativamente l'evoluzione della malattia neoplastica, posto che, secondo la letteratura scientifica, la percentuale dei soggetti con malattia nello stesso stadio che si erano avvalsi della terapia omessa era superiore alla percentuale di pazienti che avrebbero presentato comunque una recidiva nonostante la somministrazione del trattamento; che il danno differenziale era da quantificare, secondo le condivise analisi peritali, in misura pari, in specie, al 50% quanto all’invalidità permanente, tenuto pure conto di quanto già risarcito transattivamente; che andava parimenti riconosciuto il danno da perdita di “chance”, liquidato equitativamente;
- la Corte di appello, davanti alla quale avevano resistito gli eredi dopo l’intervenuto decesso dell’originaria attrice, aveva respinto il gravame della ASL.
La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha affermato che
a) nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia), sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e relazionale: art. 138 nuovo testo c.a.p.), sulla base del criterio causale del “più probabile che non”: l’evento morte della paziente, verificatasi in data X, si sarebbe verificata, in assenza dell’errore medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta: il risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto - e non a quello non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure proprio, ai congiunti) stante l’irrisarcibilità del danno tanatologico - in tutti i suoi aspetti, morali e dinamico-relazionali, intesi tanto sotto il profilo della (eventuale) consapevolezza che una tempestiva diagnosi e una corretta terapia avrebbero consentito un prolungamento (temporalmente determinabile) della vita che va a spegnersi, quanto sotto quello della invalidità permanente “differenziale” (la differenza, cioè, tra le condizioni di malattia effettivamente sopportate e quelle, migliori, che sarebbero state consentite da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia);
b) il danno da perdita di chancedi sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, volta che, da un lato, vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum né predicabile quale certezza nell’an, a differenza che nell’ipotesi sub a). La valutazione equitativa di tale risarcimento non sarà, dunque, parametrabile, sia pur con le eventuali decurtazioni, né ai valori tabellari previsti per la perdita della vita, né a quelli del danno biologico temporaneo;
c) il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente.
Ecco dunque che, fermo il generale principio, come sopra espresso, della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, in via eccezionale possono darsi ipotesi in cui il Giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che, oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via di presunzione semplice, l’avvenuta morte, benché anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e al quello da premorienza.
Esito:
Cassa con rinvio la Sentenza di Corte d'Appello Firenze n. 707/2020 depositata il 30/03/2020.
Fonte: Altalex
https://www.altalex.com/documents/2023/09/22/errore-diagnostico-danno-perdita-chance-premorienza-regola-non-cumulano

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