Cosa si intende per malasanità?

Malasanità: che cosa si intende e cosa fare

Testo dettagliato su cosa si intende per malasanità, con un linguaggio neutro e chiaro per un pubblico di potenziali clienti che hanno subito danni da errori medici.
Il testo include:

  • Una definizione chiara di malasanità
  • Le principali tipologie di errori sanitari (diagnostici, chirurgici, terapeutici, ecc.)
  • I diritti del paziente e le possibilità di azione legale
  • Le responsabilità delle strutture sanitarie e dei medici
  • Alcuni casi reali per illustrare situazioni comuni
  • Le procedure per ottenere un risarcimento

➡️ Cosa si intende per malasanità?

Malasanità è un termine utilizzato comunemente per indicare casi di cattiva assistenza sanitaria o errore medico che causano un danno al paziente. In altre parole, si parla di malasanità quando un medico, un operatore sanitario o una struttura ospedaliera commette un errore (per negligenza, imperizia, imprudenza o anche per carenze organizzative) tale da provocare un peggioramento della salute del paziente invece che migliorarlo.

È un’espressione nata in ambito giornalistico per descrivere episodi di disservizio sanitario, spesso eclatanti, che violano il diritto alla salute del cittadino. In ambito giuridico, questi casi rientrano nella responsabilità medica o responsabilità sanitaria, ossia la responsabilità civile (e a volte penale) di medici, infermieri e strutture sanitarie quando dalla loro condotta derivano danni al paziente.

Una definizione chiara di malasanità potrebbe essere: “l’insieme di eventi in cui la prestazione sanitaria risulta errata o inadeguata rispetto agli standard di cura, causando un danno al paziente”. Questo concetto comprende sia azioni svolte in modo sbagliato (errori commissivi, ad esempio un intervento eseguito male) sia omissioni di azioni dovute (errori omissivi, ad esempio la mancata diagnosi o il mancato intervento quando necessario).

 Purtroppo, i casi di malasanità non sono episodi isolati: si stima che in Italia ogni anno avvengano centinaia di migliaia di eventi di presunta malasanità. Basti pensare che ogni anno vengono avviate almeno 300.000 cause legali per malasanità, di cui circa 30.000 in sede penale, a conferma di quanto sia diffuso il fenomeno.

Di seguito vedremo le principali tipologie di errori sanitari che rientrano nella malasanità, i diritti dei pazienti coinvolti, le responsabilità legali di medici e strutture, alcuni casi reali esemplificativi e le procedure da seguire per ottenere un risarcimento.

Principali tipologie di errori sanitari (malasanità)

Gli errori in ambito sanitario possono verificarsi in qualsiasi fase del percorso di cura: dalla diagnosi iniziale, al trattamento (terapia o intervento), fino alla gestione organizzativa della degenza e del follow-up. Ecco le principali tipologie di errori sanitari associate alla malasanità:

➡️ Errori diagnostici

Gli errori diagnostici avvengono quando vi è un problema nell’identificare correttamente una malattia o condizione. Possono consistere in una diagnosi sbagliata, una mancata diagnosi oppure una diagnosi ritardata.

Ad esempio, il medico può interpretare erroneamente sintomi e risultati degli esami, classificando la patologia come un’altra malattia, oppure può sottovalutare segnali importanti e non prescrivere gli accertamenti necessari. Un’errata diagnosi comporta conseguenze serie: il paziente potrebbe ricevere cure inappropriate (con possibili effetti negativi) oppure non ricevere tempestivamente il trattamento di cui avrebbe bisogno.

Un caso tipico è la mancata diagnosi di una malattia grave (come un tumore) nelle sue fasi iniziali: il ritardo terapeutico può portare a un aggravamento irreversibile della condizione di salute. Gli errori diagnostici, purtroppo, sono abbastanza comuni e comprendono situazioni come scambio di cartelle cliniche o referti, esami di laboratorio interpretati in modo errato, fino a errori nella valutazione in Pronto Soccorso (ad esempio dimettere un paziente con sintomi gravi attribuendoli a un disturbo banale).

Le conseguenze di un errore diagnostico possono essere molto gravi: invalidità permanente dovuta a cure tardive o sbagliate, progressione non controllata della malattia, e nei casi peggiori il decesso del paziente.

➡️ Errori chirurgici

Gli errori chirurgici sono gli sbagli commessi durante un intervento operatorio o una procedura invasiva. Si tratta forse dei casi di malasanità che fanno più scalpore, in quanto spesso comportano danni fisici immediati e tangibili.

 Esempi di errori chirurgici includono: operare la parte sbagliata del corpo (errore di lato o di sito chirurgico), lesionare organi o tessuti sani durante l’intervento per imperizia, lasciare strumenti chirurgici o garze all’interno del paziente, effettuare un intervento non necessario oppure eseguire la procedura corretta ma in modo tecnicamente inadeguato.

Un errore in sala operatoria può provocare complicanze post-operatorie severe, infezioni, danni d’organo e richiedere ulteriori interventi correttivi. Anche gli errori di anestesia rientrano in questa categoria: ad esempio una dose errata di anestetico o una mancata monitorizzazione delle funzioni vitali può causare arresti cardiaci o lesioni cerebrali.

Statisticamente, gli errori chirurgici rappresentano una quota significativa dei casi di malasanità (secondo alcune analisi circa un 30-40% dei casi totali di errori medici riguarda interventi chirurgici eseguiti in modo errato).

La ragione è che la chirurgia è un’attività complessa e ad alto rischio, in cui una piccola disattenzione o una tecnica non perfetta possono avere conseguenze importanti sul paziente.

➡️ Errori terapeutici

Con errori terapeutici ci si riferisce a sbagli commessi nell’ambito del trattamento non chirurgico di un paziente. Questo può includere errori nella somministrazione di farmaci (ad esempio dosaggi sbagliati, farmaco sbagliato o somministrato al paziente sbagliato), errori nelle terapie mediche o riabilitative, oppure nella pianificazione del percorso di cura.

Ad esempio, dare a un paziente un farmaco a cui è allergico perché non si è controllata adeguatamente la sua storia clinica, oppure prescrivere una terapia errata a causa di un’interpretazione sbagliata della diagnosi, rientrano negli errori terapeutici. Anche la mancata sorveglianza degli effetti collaterali di un farmaco può configurare malasanità (se un paziente manifesta segni di reazione avversa gravi e non vengono tempestivamente riconosciuti e gestiti).

Un altro esempio comune è la errata esecuzione di una terapia: pensiamo alla radioterapia oncologica eseguita su un organo sano invece che sull’area bersaglio, o a sedute di fisioterapia fatte in modo scorretto che causano ulteriori lesioni. Gli errori terapeutici spesso derivano da disattenzione, comunicazione insufficiente tra il personale, o dal non seguire le linee guida cliniche nella scelta dei trattamenti.

Le conseguenze vanno dal mancato miglioramento della condizione del paziente, a reazioni avverse gravi, fino al peggioramento della patologia di base.

➡️ Errori organizzativi e di gestione

Non tutti i casi di malasanità dipendono direttamente da un singolo medico; a volte il problema è organizzativo o gestionale. Gli errori di gestione riguardano le carenze dei protocolli, delle strutture o dell’organizzazione del lavoro in ambito sanitario. Questi errori possono manifestarsi in vari modi: ad esempio scarsa igiene ospedaliera che provoca infezioni al paziente (le cosiddette infezioni nosocomiali), strumenti e macchinari non adeguatamente manutenzionati o calibrati, tempi d’attesa eccessivi o ritardi nell’intervento che aggravano la condizione clinica, oppure il mancato coordinamento tra reparti e personale che porta a dimenticanze o confusioni (come somministrare una terapia due volte o non somministrarla affatto).

Un classico errore gestionale è anche la mancata acquisizione del consenso informato in modo corretto: se un paziente non viene informato adeguatamente sui rischi di un trattamento e subisce un danno, la struttura e il medico sono venuti meno a un obbligo organizzativo e deontologico, configurando un caso di malasanità.

Rientrano in questa categoria anche eventi estremi causati da gravi falle organizzative, come l’errore nel collegamento di apparecchiature (per esempio, ci fu un caso in cui in un ospedale furono collegati in modo sbagliato i tubi dell’ossigeno e dell’azoto nella terapia intensiva, e diversi pazienti morirono perché ricevevano gas sbagliati (Malasanità - Wikipedia)). In sintesi, gli errori di gestione evidenziano disfunzioni del sistema sanitario: mancanza di protocolli di sicurezza, personale insufficiente o poco formato, errori amministrativi (ad esempio scambiare le cartelle di due pazienti), tutte situazioni che possono arrecare gravi danni anche senza un errore “tecnico” del singolo medico.

➡️ I diritti del paziente vittima di malasanità

Quando un paziente subisce un danno a causa di un errore sanitario, la legge italiana tutela i suoi diritti su diversi fronti. Il primo diritto fondamentale è il diritto alla salute, garantito dall’art. 32 della Costituzione: ogni individuo ha diritto a cure adeguate e sicure. Se questo diritto viene violato da malasanità, il paziente ha il diritto di essere risarcito per il danno subito.

Ecco, in termini semplici, quali sono i principali diritti di un paziente vittima di malasanità:

  • Diritto all’informazione e al consenso informato: ogni paziente ha diritto a essere informato in modo chiaro sui trattamenti proposti, sui rischi e sulle alternative. La firma del consenso informato deve avvenire dopo aver compreso queste informazioni. Se un intervento o terapia viene eseguito senza un valido consenso informato e provoca un danno, il paziente ha diritto a rivalersi perché è stata violata la sua autodeterminazione.
    Il consenso informato è una componente essenziale: un paziente consapevole può decidere con cognizione se accettare un certo rischio sanitario.

  • Diritto alla dignità e a cure adeguate: il paziente ha diritto a essere trattato con rispetto e a ricevere cure conformi alle linee guida e agli standard medici del caso. Strutture inadeguate, ambienti non sicuri o atteggiamenti arbitrari del personale che ledono la dignità del malato non sono accettabili.

    Se il paziente subisce umiliazioni o disagi ingiustificati (es. lunghi abbandoni senza assistenza in reparto, mancanza di analgesia in situazioni dolorose, etc.), può denunciare la violazione dei suoi diritti.

  • Diritto di accesso alla documentazione clinica: un paziente (o i suoi familiari aventi diritto) può chiedere in qualsiasi momento la cartella clinica e tutta la documentazione medica relativa al suo caso.

    Questo è fondamentale soprattutto dopo un sospetto caso di malasanità: avere accesso ai referti, ai risultati di esami, alle note dell’operazione, consente di capire cosa sia successo e di far valutare il caso ad esperti indipendenti. Le strutture sono obbligate per legge a fornire copia della cartella clinica su richiesta entro tempi brevi.

  • Diritto al risarcimento del danno: chi è vittima di malasanità ha il diritto di chiedere il risarcimento per tutti i danni subiti. Questo include i danni di natura patrimoniale (spese mediche sostenute, costi per terapie aggiuntive, mancati guadagni dovuti all’incapacità lavorativa temporanea o permanente) e i danni non patrimoniali, come il danno biologico (lesione dell’integrità psicofisica), il danno morale (sofferenza interiore) e il danno esistenziale (peggioramento della qualità della vita).

    L’obiettivo del risarcimento è cercare di ripristinare, per quanto possibile, la situazione della persona prima dell’errore medico, o almeno compensare economicamente le perdite subite.

  • Diritto alla tutela legale e alla giustizia: il paziente ha diritto di denunciare l’accaduto alle autorità competenti (ad esempio presentando un esposto o una denuncia querela se ritiene che vi sia rilevanza penale) e di agire in sede civile per ottenere giustizia. In pratica, questo significa poter avviare una causa civile di risarcimento danni contro i responsabili (medico e/o struttura) e, se ne ricorrono gli estremi, un procedimento penale per reati come lesioni colpose o omicidio colposo in caso di decesso.

    Inoltre, esistono organi come le Commissioni mediche o gli ordini professionali a cui segnalare il caso. Il paziente ha diritto a farsi assistere da un legale di fiducia durante tutto questo percorso e ad ottenere una perizia medico-legale indipendente. Nessuno può ostacolare il paziente nel far valere i suoi diritti: per esempio, l’ospedale non può rifiutarsi di consegnare la cartella clinica né fare pressioni indebite perché il paziente rinunci alle sue rivendicazioni.

In sintesi, la legge mette a disposizione del paziente vittima di malasanità tutti gli strumenti necessari per essere informato, tutelato e risarcito. È importante che chi si trova in questa condizione sia consapevole di avere questi diritti e che può esercitarli, rivolgendosi a professionisti (avvocati, associazioni di tutela del malato) per ottenere supporto.

➡️ Le responsabilità delle strutture sanitarie e del personale medico

Nel nostro ordinamento sia il personale sanitario (medici, infermieri, tecnici, etc.) sia le strutture sanitarie (ospedali pubblici, cliniche private, case di cura) possono essere chiamati a rispondere delle conseguenze di un caso di malasanità. Vediamo come si articolano queste responsabilità legali:

  • Responsabilità del medico e del personale sanitario: Ogni medico, chirurgo o operatore sanitario ha il dovere professionale di svolgere la propria attività con diligenza, perizia e prudenza, seguendo le linee guida e le buone pratiche cliniche riconosciute. Se un membro del personale sanitario commette un errore per negligenza (ad esempio dimentica di fare qualcosa di dovuto), imperizia (mancanza di abilità tecnica) o imprudenza (azione avventata), e da questo errore deriva un danno al paziente, egli è responsabile di quel danno.

    In termini giuridici, il professionista può essere chiamato a rispondere per colpa medica. La responsabilità del medico verso il paziente danneggiato è in genere di natura extracontrattuale (fondata sull’illecito civile): questo significa che il paziente dovrà provare che l’errore del medico ha causato il danno. Tuttavia, ai fini pratici, normalmente nelle cause di malasanità vengono citati in giudizio sia il medico (o l’équipe coinvolta) sia la struttura, in modo da coprire tutte le possibili responsabilità.

    Va sottolineato che esistono anche profili di responsabilità penale in capo ai sanitari: se l’errore è particolarmente grave e configura un reato (ad esempio lesioni personali colpose gravi, omicidio colposo in caso di decesso, omissione di soccorso, ecc.), il medico può subire un processo penale.

    In ambito penale, per condannare un medico occorre provare la colpa
    oltre ogni ragionevole dubbio, standard più severo rispetto al civile. Non tutti gli errori medici diventano casi penali – anzi, la maggior parte si risolvono in sede civile con un risarcimento – ma nei casi più eclatanti o con esito mortale è possibile che vi sia un’inchiesta penale parallela.

  • Responsabilità della struttura sanitaria: Le strutture (ospedali, cliniche) hanno una responsabilità diretta verso i pazienti, derivante dal cosiddetto contatto sociale o da un vero e proprio contratto di cura che si instaura quando il paziente viene accettato per le cure. La legge (anche attraverso la riforma del 2017, detta Legge Gelli-Bianco) prevede che la struttura sanitaria risponda per i fatti commessi dal proprio personale, a titolo di responsabilità contrattuale.

    In pratica, l’ospedale è tenuto a risarcire il paziente danneggiato per gli errori dei medici dipendenti o collaboratori, oltre che per le proprie carenze organizzative. Questo tipo di responsabilità contrattuale offre alcuni vantaggi al paziente dal punto di vista probatorio: la struttura deve dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri doveri se vuole andare esente da colpa, mentre al paziente basta provare di aver subito un danno durante la degenza/cura.

    La struttura sanitaria è responsabile non solo per gli errori tecnici dei suoi medici, ma anche per tutto ciò che attiene all’organizzazione: ad esempio, è responsabile se un reparto è sottorganico e per questo l’assistenza è carente, se un macchinario essenziale era guasto o non era disponibile, se la stanza operatoria non era sterilizzata a dovere, o se procedure interne (come la verifica delle trasfusioni di sangue corrette) non sono state rispettate.

    In caso di malasanità, spesso la struttura e il medico vengono considerati
    responsabili in solido, ossia insieme obbligati a risarcire: al paziente poco importa come si ripartiscono la colpa, ciò che conta è che entrambi possono essere chiamati a contribuire al ristoro del danno. Successivamente, la legge prevede che la struttura possa eventualmente rivalersi sul singolo operatore qualora la colpa sia interamente di quest’ultimo (soprattutto se si tratta di colpa grave), ma questa è una questione interna tra datore di lavoro e dipendente. 

    Un aspetto importante introdotto dalla legge è l’obbligo di assicurazione: oggi tutte le strutture sanitarie (pubbliche e private) devono avere una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso i pazienti, e anche i singoli professionisti sanitari devono essere assicurati per la colpa professionale. 

    Ciò garantisce che, in caso di condanna al risarcimento, ci sia una compagnia assicurativa a pagare i danni dovuti al paziente (nei limiti dei massimali di polizza), riducendo il rischio che il danneggiato resti senza risarcimento perché il responsabile non è solvibile. Per il paziente vittima di malasanità, dunque, la legge assicura che vi sia sempre un soggetto – l’ospedale, appunto, spesso coperto da assicurazione – tenuto a rispondere economicamente del torto subito.

In conclusione, medici e strutture hanno responsabilità diverse ma complementari: il medico risponde del proprio operato secondo le regole della responsabilità professionale, la struttura risponde verso il paziente per inadempimento dell’obbligo di cura. Ciò che rileva, per chi ha subito danni, è sapere che entrambi possono essere chiamati a risarcire e che esistono precise norme che regolano queste situazioni, a tutela del paziente.

➡️ Casi reali di malasanità

Per comprendere concretamente cosa significhi malasanità, può essere utile richiamare alcuni casi reali accaduti in Italia, che illustrano diverse tipologie di errori medici e le loro conseguenze:

  • Errore diagnostico in Pronto Soccorso: Un caso emblematico è quello accaduto a Milano nel 2021, dove un bambino di 4 anni è stato portato al Pronto Soccorso con forti dolori addominali e vomito. I medici lo hanno dimesso con una diagnosi di gastroenterite, ma in realtà il piccolo aveva un’appendicite acuta non riconosciuta. Il giorno successivo il bambino è tornato in ospedale in condizioni gravissime ed è purtroppo deceduto per una peritonite diffusa, causata dalla perforazione dell’appendice non trattata (Bimbo dimesso da ospedale muore giorno dopo per peritonite - Cronaca - ANSA). In questo tragico episodio, l’errore di diagnosi (scambiare un’appendicite per un disturbo meno grave) ha avuto conseguenze fatali. Il caso ha portato all’apertura di un’indagine per capire se vi sia stata negligenza da parte del medico di turno e della specializzanda che avevano visitato il paziente.

  • Errore chirurgico e abuso di pratiche mediche: Uno dei casi di malasanità più noti alla cronaca italiana è quello della Clinica Santa Rita di Milano (ribattezzata dai media “clinica degli orrori”). Nel 2007 emerse che in questa clinica privata erano stati eseguiti numerosi interventi chirurgici inutili e dannosi su pazienti ignari, al solo scopo di ottenere rimborsi dal Servizio Sanitario Regionale. Ad esempio, furono effettuate resezioni polmonari anche quando non necessario, causando menomazioni gravissime, e altri pazienti subirono interventi non indicati che portarono complicanze e persino decessi (Santa Rita, ecco tutti i segreti della clinica degli orrori - il Giornale). In questo caso, oltre al singolo errore medico, vi era un sistema organizzato di malasanità deliberata: i medici coinvolti agivano con dolo (cioè volontariamente) contro l’interesse dei pazienti. La vicenda si concluse con condanne penali severe per i sanitari responsabili e mise in luce l’importanza di controlli di qualità e di etica nella pratica medica.

  • Errore di gestione/organizzazione (infezioni e altri casi): Un altro esempio reale riguarda episodi di infezioni ospedaliere o errori tecnici dovuti a cattiva gestione. In Puglia, negli anni ‘90, fece scalpore il caso del nuovo reparto di terapia intensiva coronarica dell’ospedale di Castellaneta (TA): a pochi giorni dall’apertura, diversi pazienti ricoverati morirono inspiegabilmente. Si scoprì poi che vi era stato un clamoroso errore nell’impianto dei gas medicali: le tubature dell’ossigeno erano state collegate a una cisterna di azoto liquido. Di conseguenza, i pazienti ricevevano azoto anziché ossigeno e questo causò otto decessi prima che si capisse la causa (Malasanità - Wikipedia). Questo terribile caso rientra a pieno titolo nella malasanità, ma non per un “errore del chirurgo” bensì per una grave negligenza tecnica e organizzativa nella struttura sanitaria. Altri esempi di errori gestionali includono pazienti che contraggono infezioni mortali (come setticemie) a causa di scarsa sterilizzazione in sala operatoria o in reparto, oppure casi in cui una trasfusione di sangue viene fatta con il gruppo sanguigno sbagliato per scambio di provette, causando shock emolitici. Tutti questi sono eventi evitabili con adeguate procedure: quando accadono, segnalano una falla nel sistema di sicurezza delle cure.

  • Altri casi emblematici: Purtroppo l’elenco potrebbe continuare. Ci sono stati pazienti operati al lato sbagliato del corpo (ad esempio, asportazione del rene sano invece di quello malato), neonati scambiati in culla o danni durante il parto per errori nell’assistenza ostetrica, persone rimaste invalide perché cadute dal letto d’ospedale senza adeguate protezioni o sorveglianza, e via dicendo. Ogni volta che si verifica un evento del genere, la stampa parla di “malasanità” proprio per indicare che qualcosa nel sistema sanitario – sia esso l’operato del singolo medico o l’organizzazione complessiva – ha fallito, causando un danno al paziente che avrebbe dovuto essere curato e protetto.

Questi casi reali aiutano a capire quanto sia importante la prevenzione degli errori in sanità e quanto devastanti possano essere le conseguenze per i pazienti e i loro familiari. Allo stesso tempo, mostrano che, quando simili episodi accadono, esistono strumenti legali per accertare le responsabilità e ottenere giustizia.

➡️ Procedure legali per ottenere un risarcimento

Chi ritiene di essere stato vittima di malasanità deve sapere che esistono precise procedure legali per far valere i propri diritti e ottenere un risarcimento. Affrontare un percorso legale dopo un errore medico può sembrare complicato, ma con l’aiuto di un avvocato specializzato e seguendo i passi giusti, è possibile far emergere la verità sul caso e ottenere un adeguato indennizzo per i danni subiti. In generale, è fondamentale agire con tempestività – sia per raccogliere le prove prima che vadano perse, sia perché ci sono termini di prescrizione da rispettare. Vediamo quali sono i passaggi da seguire, la documentazione necessaria e i tempi entro cui intraprendere l’azione legale.

➡️ Passaggi da seguire in caso di malasanità

  1. Raccolta della documentazione medica: la prima cosa da fare, non appena si sospetta di aver subìto un errore sanitario, è procurarsi tutta la documentazione clinica relativa al caso. Occorre richiedere copia della cartella clinica dall’ospedale o clinica (che ha l’obbligo di rilasciarla entro 30 giorni circa), nonché conservare tutti i referti, gli esami diagnostici, le radiografie, le prescrizioni mediche e ogni altro documento sanitario. È importante anche raccogliere eventuali certificati medici ottenuti dopo l’evento (ad esempio certificati che attestino le lesioni subite, referti di visite presso altri specialisti che hanno riscontrato l’errore, etc.) e qualsiasi elemento di prova disponibile (fotografie di lesioni, testimonianze di familiari presenti, ecc.). Questa documentazione sarà la base per valutare il caso e dimostrare il nesso tra l’errore e il danno subito.

  2. Consultazione di un avvocato esperto e di un medico legale: una volta raccolti i documenti, è consigliabile rivolgersi a un avvocato specializzato in malasanità. Il legale, possibilmente affiancato da un medico legale o da un medico specialista di fiducia, esaminerà la documentazione per capire se ci sono gli estremi per una causa di risarcimento. In questa fase si effettua una valutazione medico-legale preliminare: uno specialista esaminerà il percorso clinico e stabilirà se la condotta dei sanitari è stata al di sotto dello standard dovuto (colposa) e se c’è un legame causale tra quella condotta e il danno riportato dal paziente. Questa perizia iniziale è cruciale per decidere se procedere e contro chi. Se emerge che non vi è stato errore o che il danno non è ricollegabile all’operato dei medici, l’avvocato potrà sconsigliare di intraprendere azioni legali (per evitare processi inutili); viceversa, se la consulenza conferma il sospetto di malasanità, si potrà passare allo step successivo.

  3. Tentativo di risoluzione stragiudiziale (mediazione/conciliazione): Prima di andare in tribunale, la legge prevede (dopo la riforma del 2017) un tentativo obbligatorio di conciliazione. Questo può avvenire in due modi: tramite mediazione civile presso un organismo di mediazione, oppure tramite un procedimento chiamato accertamento tecnico preventivo (ATP) a fini conciliativi.

  4. In pratica, si cerca di trovare un accordo tra il paziente danneggiato (assistito dal suo avvocato) e la struttura sanitaria e/o l’assicurazione, con l’aiuto di un perito medico nominato dal tribunale nel caso dell’ATP, oppure di un mediatore professionista nel caso della mediazione. In questa fase, la struttura sanitaria potrebbe riconoscere l’errore e proporre un risarcimento spontaneo, evitando la causa.

    Oppure le parti possono non trovare accordo; in tal caso, ottenuto il verbale di fallita conciliazione (o l’esito dell’ATP), il paziente acquisisce il diritto di procedere con la causa civile. Questo passo è importante perché oggi è condizione di procedibilità: significa che senza aver tentato la conciliazione o l’ATP, il giudice civile non può poi esaminare il caso. Durante il tentativo stragiudiziale, il paziente attraverso il suo legale dovrà presentare i fatti, le prove raccolte e spesso una perizia di parte che quantifichi i danni, per sostenere la richiesta risarcitoria.

  5. Azione legale in sede civile: Se il tentativo di accordo non ha successo o se la controparte nega le responsabilità, si passa alla vera e propria causa civile di risarcimento danni. L’avvocato depositerà un atto di citazione in tribunale nei confronti del medico e/o della struttura sanitaria coinvolti, indicando i fatti, le violazioni commesse e quantificando il risarcimento richiesto. Durante il processo civile, verrà quasi sempre disposta una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), ossia una perizia effettuata da un medico legale nominato dal giudice, che dovrà valutare in maniera imparziale se c’è stato errore e quali danni ne sono conseguiti.

    La CTU è un momento chiave: spesso dalle sue conclusioni dipende l’esito della causa. Se la CTU conferma la malasanità, è probabile che si arrivi a una sentenza favorevole al paziente, con condanna dei responsabili al risarcimento. Va ricordato che il procedimento civile può essere lungo (anche diversi anni), ma in alcuni casi è possibile ottenere un anticipo provvisionale sul risarcimento se il giudice riconosce subito la responsabilità e il grave pregiudizio sofferto dal paziente. La causa civile si può concludere con una sentenza oppure con una transazione (accordo) tra le parti anche durante il processo.

  6. (Eventuale) Azione in sede penale: Parallelamente alla causa civile, se il fatto è molto grave, il paziente o i suoi familiari possono aver presentato anche una denuncia penale (querela) per far aprire un’indagine da parte della Procura. È importante sapere che per alcuni reati colposi in ambito sanitario (come le lesioni personali colpose) la querela va presentata entro 3 mesi dall’evento o dalla sua scoperta, altrimenti il reato non è più perseguibile. In caso di decesso (omicidio colposo) la denuncia può partire d’ufficio.

    Nel processo penale il paziente diventa parte civile per chiedere i danni all’interno del procedimento. Tuttavia, il penale ha scopi diversi (punire il colpevole) e richiede soglie di prova più elevate; non sempre viene intrapreso, se non in casi eclatanti. In ogni caso, l’eventuale condanna penale del medico rafforza il diritto al risarcimento della vittima. Anche senza condanna penale, la causa civile può andare avanti autonomamente.

➡️ Documentazione necessaria per la causa

Per avere successo in una richiesta di risarcimento, è fondamentale poter contare su adeguata documentazione e prove. Abbiamo già menzionato la cartella clinica e i referti medici come elementi chiave. Riassumendo, la documentazione che il paziente (con l’aiuto del suo legale) dovrebbe raccogliere comprende:

  • Cartella clinica completa: documento rilasciato dall’ospedale che riporta tutto il percorso di ricovero o intervento (anamnesi, diagnosi effettuate, terapia somministrata, interventi chirurgici con relativi verbali, decorso post-operatorio, lettere di dimissione, ecc.). È la prova primaria di “ciò che è successo” durante le cure contestate.

  • Referti di esami e analisi: risultati di esami del sangue, referti radiologici (RX, TAC, risonanze, ecografie), referti istologici, tracciati, ecc. Servono a dimostrare lo stato di salute del paziente prima e dopo l’errore, e l’eventuale mancata diagnosi di qualcosa di evidente.

  • Certificati medici e perizie: ad esempio certificati del medico curante dopo l’evento (che attestino le lesioni subite, giorni di prognosi, incapacità lavorativa), referti di visite specialistiche fatte per rimediare al danno (es. un cardiologo che riscontra un infarto non diagnosticato in tempo). Molto utile è ottenere una perizia medico-legale di parte, redatta da un professionista scelto dal paziente, che descriva l’errore e quantifichi in termini di punteggio di invalidità il danno biologico. Questa perizia di parte sarà poi confrontata con quella d’ufficio in giudizio.

  • Documenti di spesa e ricevute: tutte le spese sostenute a causa dell’errore devono essere documentate con fatture, ricevute o scontrini. Ad esempio, spese per farmaci aggiuntivi, per ulteriori interventi chirurgici o terapie private, per assistenza domiciliare, per protesi o ausili, spese di viaggio per cure lontano da casa, ecc. Questi costi verranno sommati nel calcolo del danno patrimoniale da risarcire.

  • Prova di reddito e lavoro (se rilevante): se il danno ha comportato un’impossibilità a lavorare temporanea o permanente, conviene raccogliere documenti come buste paga, dichiarazioni dei redditi, attestati del datore di lavoro sulle assenze, per dimostrare la perdita economica (lucro cessante) subita.

  • Altre prove: eventuali foto (ad esempio di cicatrici anomale, di condizioni igieniche in reparto), registrazioni (se il paziente ha registrato colloqui con medici), testimonianze di chi ha assistito ai fatti o ha visto le condizioni in cui il paziente versava. Anche linee guida o letteratura medica possono essere allegate per dimostrare cosa avrebbe dovuto essere fatto in quel caso rispetto a quanto (non) è stato fatto.

Tutta questa documentazione andrà consegnata all’avvocato e sarà utilizzata sia nella fase stragiudiziale (per convincere la controparte a pagare) sia in giudizio come prove. Più il quadro probatorio è solido, maggiori sono le probabilità di successo della richiesta di risarcimento.

➡️ Tempi di prescrizione del diritto al risarcimento

Un elemento cruciale da tenere presente è quello dei tempi di prescrizione, cioè il limite massimo oltre il quale non è più legalmente possibile richiedere il risarcimento. In materia di malasanità i termini di prescrizione variano a seconda della tipologia di responsabilità coinvolta:

  • 10 anni: è il termine di prescrizione della responsabilità contrattuale applicabile alla struttura sanitaria. Poiché, come detto, l’ospedale o la clinica rispondono verso il paziente in virtù di un’obbligazione contrattuale di cura, il paziente ha dieci anni di tempo dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (o dal giorno in cui è venuto a conoscenza del danno) per intraprendere la causa civile di risarcimento nei confronti della struttura. Questo termine decennale si applica anche nei confronti del medico libero professionista con cui si aveva un rapporto contrattuale (ad esempio un chirurgo di una clinica privata scelto e pagato direttamente dal paziente).

  • 5 anni: è il termine di prescrizione della responsabilità extracontrattuale in capo al singolo medico (quando non legato da contratto diretto col paziente). Ad esempio, se un paziente è stato curato in pronto soccorso da un medico dipendente e vuole agire solo contro quel medico (oltre che contro l’ospedale), la pretesa risarcitoria verso il medico personalmente si prescrive in cinque anni. Tuttavia, nella pratica, come accennato, si cita quasi sempre anche la struttura sanitaria proprio per poter beneficiare del termine più lungo dei 10 anni.

  • Termine dal momento della consapevolezza del danno: è importante notare che la giurisprudenza ha chiarito come il tempo di prescrizione inizia a decorrere non necessariamente dal giorno dell’errore in sé, ma dal momento in cui il paziente ha avuto consapevolezza del danno subito. Questo è rilevante in molti casi di malasanità in cui il danno non è immediatamente evidente.

    Ad esempio, se un chirurgo lascia per errore una garza nell’addome, il paziente potrebbe scoprirlo solo anni dopo, quando viene diagnosticata un’infezione o si sottopone a radiografie: i 10 (o 5) anni decorreranno da quando il problema è emerso/riconosciuto. Ciò però non deve indurre a temporeggiare: appena si scopre un possibile errore medico, è bene muoversi, sia per evitare discussioni sulla decorrenza dei termini, sia per conservare le prove.

Attenzione: i termini sopra indicati si riferiscono alla possibilità di agire in sede civile per il risarcimento. L’eventuale azione penale per reati colposi ha altri termini di prescrizione (stabiliti dal codice penale in base alla gravità del reato) e, come detto, in alcuni casi richiede la presentazione di querela entro 3 mesi.

In ogni caso, per non rischiare di perdere il diritto, la tempestività è fondamentale. Se si sospetta di essere vittima di malasanità, meglio consultare al più presto un legale: questi saprà calcolare esattamente le scadenze e magari interrompere la prescrizione inviando una lettera formale di richiesta danni prima della causa (atto che “blocca” temporaneamente il decorso del tempo).

In conclusione, affrontare le conseguenze di un errore medico è certamente difficile per il paziente e la sua famiglia, ma la legge offre strumenti chiari per ottenere giustizia. Con una buona assistenza legale e medico-legale, è possibile far valere i propri diritti, accertare la verità sul caso di malasanità e ottenere un risarcimento proporzionato al danno sofferto.

Ciò non cancellerà l’errore subito, ma potrà almeno alleviare l’onere economico e morale derivato dall’evento, contribuendo anche a far sì che simili errori vengano riconosciuti e (si spera) evitati in futuro.

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