Malasanità: che cosa si intende e cosa fare
Testo dettagliato su cosa si intende per malasanità, con un
linguaggio neutro e chiaro per un pubblico di potenziali clienti che hanno
subito danni da errori medici.
Il testo include:
- Una
definizione chiara di malasanità
- Le
principali tipologie di errori sanitari (diagnostici, chirurgici,
terapeutici, ecc.)
- I
diritti del paziente e le possibilità di azione legale
- Le
responsabilità delle strutture sanitarie e dei medici
- Alcuni
casi reali per illustrare situazioni comuni
- Le
procedure per ottenere un risarcimento
➡️ Cosa si intende per malasanità?
Malasanità è un termine utilizzato comunemente per
indicare casi di cattiva assistenza sanitaria o errore medico che
causano un danno al paziente. In altre parole, si parla di malasanità quando un
medico, un operatore sanitario o una struttura ospedaliera commette un errore
(per negligenza, imperizia, imprudenza o anche per carenze organizzative) tale
da provocare un peggioramento della salute del paziente invece che migliorarlo.
È un’espressione nata in ambito giornalistico per descrivere episodi di disservizio
sanitario, spesso eclatanti, che violano il diritto alla salute del cittadino.
In ambito giuridico, questi casi rientrano nella responsabilità medica o
responsabilità sanitaria, ossia la responsabilità civile (e a volte
penale) di medici, infermieri e strutture sanitarie quando dalla loro condotta
derivano danni al paziente.
Una definizione chiara di malasanità potrebbe essere:
“l’insieme di eventi in cui la prestazione sanitaria risulta errata o
inadeguata rispetto agli standard di cura, causando un danno al paziente”.
Questo concetto comprende sia azioni svolte in modo sbagliato (errori commissivi,
ad esempio un intervento eseguito male) sia omissioni di azioni dovute (errori omissivi,
ad esempio la mancata diagnosi o il mancato intervento quando necessario).
Purtroppo, i casi di
malasanità non sono episodi isolati: si stima che in Italia ogni anno avvengano
centinaia di migliaia di eventi di presunta malasanità. Basti pensare che ogni
anno vengono avviate almeno 300.000 cause legali per malasanità, di cui
circa 30.000 in sede penale, a conferma di quanto sia diffuso il
fenomeno.
Di seguito vedremo le principali tipologie di errori
sanitari che rientrano nella malasanità, i diritti dei pazienti coinvolti, le
responsabilità legali di medici e strutture, alcuni casi reali esemplificativi
e le procedure da seguire per ottenere un risarcimento.
Principali tipologie di errori sanitari (malasanità)
Gli errori in ambito sanitario possono verificarsi in
qualsiasi fase del percorso di cura: dalla diagnosi iniziale, al trattamento
(terapia o intervento), fino alla gestione organizzativa della degenza e del
follow-up. Ecco le principali tipologie di errori sanitari associate
alla malasanità:
➡️ Errori diagnostici
Gli errori diagnostici avvengono quando vi è un
problema nell’identificare correttamente una malattia o condizione. Possono
consistere in una diagnosi sbagliata, una mancata diagnosi oppure
una diagnosi ritardata.
Ad esempio, il medico può interpretare
erroneamente sintomi e risultati degli esami, classificando la patologia come
un’altra malattia, oppure può sottovalutare segnali importanti e non
prescrivere gli accertamenti necessari. Un’errata diagnosi comporta conseguenze
serie: il paziente potrebbe ricevere cure inappropriate (con possibili effetti
negativi) oppure non ricevere tempestivamente il trattamento di cui avrebbe
bisogno.
Un caso tipico è la mancata diagnosi di una malattia grave
(come un tumore) nelle sue fasi iniziali: il ritardo terapeutico può portare a
un aggravamento irreversibile della condizione di salute. Gli errori
diagnostici, purtroppo, sono abbastanza comuni e comprendono situazioni come scambio
di cartelle cliniche o referti, esami di laboratorio interpretati in
modo errato, fino a errori nella valutazione in Pronto Soccorso (ad esempio
dimettere un paziente con sintomi gravi attribuendoli a un disturbo banale).
Le conseguenze di un errore diagnostico possono
essere molto gravi: invalidità permanente dovuta a cure tardive o sbagliate,
progressione non controllata della malattia, e nei casi peggiori il decesso del
paziente.
➡️ Errori chirurgici
Gli errori chirurgici sono gli sbagli commessi
durante un intervento operatorio o una procedura invasiva. Si tratta forse dei
casi di malasanità che fanno più scalpore, in quanto spesso comportano danni
fisici immediati e tangibili.
Esempi di errori
chirurgici includono: operare la parte sbagliata del corpo (errore di lato o di
sito chirurgico), lesionare organi o tessuti sani durante l’intervento per
imperizia, lasciare strumenti chirurgici o garze all’interno del paziente,
effettuare un intervento non necessario oppure eseguire la procedura corretta
ma in modo tecnicamente inadeguato.
Un errore in sala operatoria può provocare
complicanze post-operatorie severe, infezioni, danni d’organo e richiedere
ulteriori interventi correttivi. Anche gli errori di anestesia rientrano
in questa categoria: ad esempio una dose errata di anestetico o una mancata
monitorizzazione delle funzioni vitali può causare arresti cardiaci o lesioni
cerebrali.
Statisticamente, gli errori chirurgici rappresentano una quota
significativa dei casi di malasanità (secondo alcune analisi circa un 30-40%
dei casi totali di errori medici riguarda interventi chirurgici eseguiti in
modo errato).
La ragione è che la chirurgia è un’attività complessa e ad
alto rischio, in cui una piccola disattenzione o una tecnica non perfetta
possono avere conseguenze importanti sul paziente.
➡️ Errori terapeutici
Con errori terapeutici ci si riferisce a sbagli
commessi nell’ambito del trattamento non chirurgico di un paziente. Questo può
includere errori nella somministrazione di farmaci (ad esempio dosaggi
sbagliati, farmaco sbagliato o somministrato al paziente sbagliato), errori
nelle terapie mediche o riabilitative, oppure nella pianificazione del percorso
di cura.
Ad esempio, dare a un paziente un farmaco a cui è allergico
perché non si è controllata adeguatamente la sua storia clinica, oppure
prescrivere una terapia errata a causa di un’interpretazione sbagliata della
diagnosi, rientrano negli errori terapeutici. Anche la mancata sorveglianza
degli effetti collaterali di un farmaco può configurare malasanità (se un
paziente manifesta segni di reazione avversa gravi e non vengono
tempestivamente riconosciuti e gestiti).
Un altro esempio comune è la errata
esecuzione di una terapia: pensiamo alla radioterapia oncologica eseguita
su un organo sano invece che sull’area bersaglio, o a sedute di fisioterapia
fatte in modo scorretto che causano ulteriori lesioni. Gli errori terapeutici
spesso derivano da disattenzione, comunicazione insufficiente tra il
personale, o dal non seguire le linee guida cliniche nella scelta dei
trattamenti.
Le conseguenze vanno dal mancato miglioramento della condizione
del paziente, a reazioni avverse gravi, fino al peggioramento della patologia di
base.
➡️ Errori organizzativi e di gestione
Non tutti i casi di malasanità dipendono direttamente da un
singolo medico; a volte il problema è organizzativo o gestionale. Gli errori
di gestione riguardano le carenze dei protocolli, delle strutture o
dell’organizzazione del lavoro in ambito sanitario. Questi errori possono
manifestarsi in vari modi: ad esempio scarsa igiene ospedaliera che
provoca infezioni al paziente (le cosiddette infezioni nosocomiali), strumenti
e macchinari non adeguatamente manutenzionati o calibrati, tempi d’attesa
eccessivi o ritardi nell’intervento che aggravano la condizione clinica, oppure
il mancato coordinamento tra reparti e personale che porta a
dimenticanze o confusioni (come somministrare una terapia due volte o non
somministrarla affatto).
Un classico errore gestionale è anche la mancata
acquisizione del consenso informato in modo corretto: se un paziente non
viene informato adeguatamente sui rischi di un trattamento e subisce un danno,
la struttura e il medico sono venuti meno a un obbligo organizzativo e
deontologico, configurando un caso di malasanità.
Rientrano in questa categoria
anche eventi estremi causati da gravi falle organizzative, come l’errore nel
collegamento di apparecchiature (per esempio, ci fu un caso in cui in un
ospedale furono collegati in modo sbagliato i tubi dell’ossigeno e dell’azoto
nella terapia intensiva, e diversi pazienti morirono perché ricevevano gas
sbagliati (Malasanità
- Wikipedia)). In sintesi, gli errori di gestione evidenziano disfunzioni
del sistema sanitario: mancanza di protocolli di sicurezza, personale
insufficiente o poco formato, errori amministrativi (ad esempio scambiare le
cartelle di due pazienti), tutte situazioni che possono arrecare gravi danni
anche senza un errore “tecnico” del singolo medico.
➡️ I diritti del paziente vittima di malasanità
Quando un paziente subisce un danno a causa di un errore
sanitario, la legge italiana tutela i suoi diritti su diversi fronti. Il
primo diritto fondamentale è il diritto alla salute, garantito
dall’art. 32 della Costituzione: ogni individuo ha diritto a cure adeguate e
sicure. Se questo diritto viene violato da malasanità, il paziente ha il diritto
di essere risarcito per il danno subito.
Ecco, in termini semplici, quali sono i principali
diritti di un paziente vittima di malasanità:
- Diritto
all’informazione e al consenso informato: ogni paziente ha diritto a
essere informato in modo chiaro sui trattamenti proposti, sui rischi e
sulle alternative. La firma del consenso informato deve avvenire dopo
aver compreso queste informazioni. Se un intervento o terapia viene
eseguito senza un valido consenso informato e provoca un danno, il
paziente ha diritto a rivalersi perché è stata violata la sua
autodeterminazione.
Il consenso informato è una componente essenziale: un
paziente consapevole può decidere con cognizione se accettare un certo rischio
sanitario.
- Diritto
alla dignità e a cure adeguate: il paziente ha diritto a essere
trattato con rispetto e a ricevere cure conformi alle linee guida e agli
standard medici del caso. Strutture inadeguate, ambienti non sicuri o
atteggiamenti arbitrari del personale che ledono la dignità del malato non
sono accettabili.
Se il paziente subisce umiliazioni o disagi ingiustificati (es. lunghi
abbandoni senza assistenza in reparto, mancanza di analgesia in situazioni
dolorose, etc.), può denunciare la violazione dei suoi diritti.
- Diritto
di accesso alla documentazione clinica: un paziente (o i suoi
familiari aventi diritto) può chiedere in qualsiasi momento la cartella
clinica e tutta la documentazione medica relativa al suo caso.
Questo
è fondamentale soprattutto dopo un sospetto caso di malasanità: avere
accesso ai referti, ai risultati di esami, alle note dell’operazione,
consente di capire cosa sia successo e di far valutare il caso ad esperti
indipendenti. Le strutture sono obbligate per legge a fornire copia della
cartella clinica su richiesta entro tempi brevi.
- Diritto
al risarcimento del danno: chi è vittima di malasanità ha il diritto
di chiedere il risarcimento per tutti i danni subiti. Questo
include i danni di natura patrimoniale (spese mediche sostenute,
costi per terapie aggiuntive, mancati guadagni dovuti all’incapacità
lavorativa temporanea o permanente) e i danni non patrimoniali,
come il danno biologico (lesione dell’integrità psicofisica), il danno
morale (sofferenza interiore) e il danno esistenziale
(peggioramento della qualità della vita).
L’obiettivo del risarcimento è
cercare di ripristinare, per quanto possibile, la situazione della persona
prima dell’errore medico, o almeno compensare economicamente le perdite
subite.
- Diritto
alla tutela legale e alla giustizia: il paziente ha diritto di denunciare
l’accaduto alle autorità competenti (ad esempio presentando un esposto o
una denuncia querela se ritiene che vi sia rilevanza penale) e di agire
in sede civile per ottenere giustizia. In pratica, questo significa
poter avviare una causa civile di risarcimento danni contro i responsabili
(medico e/o struttura) e, se ne ricorrono gli estremi, un procedimento
penale per reati come lesioni colpose o omicidio colposo in caso di
decesso.
Inoltre, esistono organi come le Commissioni mediche o gli ordini
professionali a cui segnalare il caso. Il paziente ha diritto a farsi
assistere da un legale di fiducia durante tutto questo percorso e ad
ottenere una perizia medico-legale indipendente. Nessuno può ostacolare il
paziente nel far valere i suoi diritti: per esempio, l’ospedale non può
rifiutarsi di consegnare la cartella clinica né fare pressioni indebite
perché il paziente rinunci alle sue rivendicazioni.
In sintesi, la legge mette a disposizione del paziente
vittima di malasanità tutti gli strumenti necessari per essere informato,
tutelato e risarcito. È importante che chi si trova in questa condizione sia
consapevole di avere questi diritti e che può esercitarli, rivolgendosi a
professionisti (avvocati, associazioni di tutela del malato) per ottenere
supporto.
➡️ Le responsabilità delle strutture sanitarie e del
personale medico
Nel nostro ordinamento sia il personale sanitario (medici,
infermieri, tecnici, etc.) sia le strutture sanitarie (ospedali pubblici,
cliniche private, case di cura) possono essere chiamati a rispondere delle
conseguenze di un caso di malasanità. Vediamo come si articolano queste responsabilità
legali:
- Responsabilità del medico e del personale sanitario:
Ogni medico, chirurgo o operatore sanitario ha il dovere professionale di
svolgere la propria attività con diligenza, perizia e prudenza, seguendo
le linee guida e le buone pratiche cliniche riconosciute. Se un membro del
personale sanitario commette un errore per negligenza (ad esempio dimentica di
fare qualcosa di dovuto), imperizia (mancanza di abilità tecnica) o imprudenza
(azione avventata), e da questo errore deriva un danno al paziente, egli è responsabile
di quel danno.
In termini giuridici, il professionista può essere chiamato a
rispondere per colpa medica. La responsabilità del medico verso il
paziente danneggiato è in genere di natura extracontrattuale (fondata
sull’illecito civile): questo significa che il paziente dovrà provare che
l’errore del medico ha causato il danno. Tuttavia, ai fini pratici, normalmente
nelle cause di malasanità vengono citati in giudizio sia il medico (o l’équipe
coinvolta) sia la struttura, in modo da coprire tutte le possibili
responsabilità.
Va sottolineato che esistono anche profili di
responsabilità penale in capo ai sanitari: se l’errore è particolarmente
grave e configura un reato (ad esempio lesioni personali colpose gravi,
omicidio colposo in caso di decesso, omissione di soccorso, ecc.), il medico
può subire un processo penale.
In ambito penale, per condannare un medico
occorre provare la colpa oltre ogni ragionevole dubbio, standard più
severo rispetto al civile. Non tutti gli errori medici diventano casi penali –
anzi, la maggior parte si risolvono in sede civile con un risarcimento – ma nei
casi più eclatanti o con esito mortale è possibile che vi sia un’inchiesta
penale parallela.
- Responsabilità della struttura sanitaria: Le
strutture (ospedali, cliniche) hanno una responsabilità diretta verso i
pazienti, derivante dal cosiddetto contatto sociale o da un vero e
proprio contratto di cura che si instaura quando il paziente viene accettato
per le cure. La legge (anche attraverso la riforma del 2017, detta Legge
Gelli-Bianco) prevede che la struttura sanitaria risponda per i fatti
commessi dal proprio personale, a titolo di responsabilità contrattuale.
In pratica, l’ospedale è tenuto a risarcire il paziente
danneggiato per gli errori dei medici dipendenti o collaboratori, oltre che per
le proprie carenze organizzative. Questo tipo di responsabilità contrattuale
offre alcuni vantaggi al paziente dal punto di vista probatorio: la struttura
deve dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri doveri se vuole
andare esente da colpa, mentre al paziente basta provare di aver subito un
danno durante la degenza/cura.
La struttura sanitaria è responsabile non solo per gli errori
tecnici dei suoi medici, ma anche per tutto ciò che attiene
all’organizzazione: ad esempio, è responsabile se un reparto è sottorganico e
per questo l’assistenza è carente, se un macchinario essenziale era guasto o
non era disponibile, se la stanza operatoria non era sterilizzata a dovere, o
se procedure interne (come la verifica delle trasfusioni di sangue corrette)
non sono state rispettate.
In caso di malasanità, spesso la struttura e il
medico vengono considerati responsabili in solido, ossia insieme
obbligati a risarcire: al paziente poco importa come si ripartiscono la colpa,
ciò che conta è che entrambi possono essere chiamati a contribuire al ristoro
del danno. Successivamente, la legge prevede che la struttura possa
eventualmente rivalersi sul singolo operatore qualora la colpa sia interamente
di quest’ultimo (soprattutto se si tratta di colpa grave), ma questa è
una questione interna tra datore di lavoro e dipendente.
Un aspetto importante introdotto dalla legge è l’obbligo
di assicurazione: oggi tutte le strutture sanitarie (pubbliche e private) devono
avere una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso i pazienti,
e anche i singoli professionisti sanitari devono essere assicurati per la colpa
professionale.
Ciò garantisce che, in caso di condanna al risarcimento, ci
sia una compagnia assicurativa a pagare i danni dovuti al paziente (nei limiti
dei massimali di polizza), riducendo il rischio che il danneggiato resti senza
risarcimento perché il responsabile non è solvibile. Per il paziente vittima di
malasanità, dunque, la legge assicura che vi sia sempre un soggetto –
l’ospedale, appunto, spesso coperto da assicurazione – tenuto a rispondere
economicamente del torto subito.
In conclusione, medici e strutture hanno responsabilità
diverse ma complementari: il medico risponde del proprio operato secondo le
regole della responsabilità professionale, la struttura risponde verso il
paziente per inadempimento dell’obbligo di cura. Ciò che rileva, per chi ha
subito danni, è sapere che entrambi possono essere chiamati a risarcire
e che esistono precise norme che regolano queste situazioni, a tutela del
paziente.
➡️ Casi reali di malasanità
Per comprendere concretamente cosa significhi malasanità,
può essere utile richiamare alcuni casi reali accaduti in Italia, che
illustrano diverse tipologie di errori medici e le loro conseguenze:
- Errore
diagnostico in Pronto Soccorso: Un caso emblematico è quello accaduto
a Milano nel 2021, dove un bambino di 4 anni è stato portato al Pronto
Soccorso con forti dolori addominali e vomito. I medici lo hanno dimesso
con una diagnosi di gastroenterite, ma in realtà il piccolo aveva un’appendicite
acuta non riconosciuta. Il giorno successivo il bambino è tornato in
ospedale in condizioni gravissime ed è purtroppo deceduto per una
peritonite diffusa, causata dalla perforazione dell’appendice non trattata
(Bimbo
dimesso da ospedale muore giorno dopo per peritonite - Cronaca - ANSA).
In questo tragico episodio, l’errore di diagnosi (scambiare
un’appendicite per un disturbo meno grave) ha avuto conseguenze fatali. Il
caso ha portato all’apertura di un’indagine per capire se vi sia stata
negligenza da parte del medico di turno e della specializzanda che avevano
visitato il paziente.
- Errore
chirurgico e abuso di pratiche mediche: Uno dei casi di malasanità più
noti alla cronaca italiana è quello della Clinica Santa Rita di
Milano (ribattezzata dai media “clinica degli orrori”). Nel 2007 emerse
che in questa clinica privata erano stati eseguiti numerosi interventi
chirurgici inutili e dannosi su pazienti ignari, al solo scopo di
ottenere rimborsi dal Servizio Sanitario Regionale. Ad esempio, furono
effettuate resezioni polmonari anche quando non necessario, causando
menomazioni gravissime, e altri pazienti subirono interventi non indicati
che portarono complicanze e persino decessi (Santa
Rita, ecco tutti i segreti della clinica degli orrori - il Giornale).
In questo caso, oltre al singolo errore medico, vi era un sistema
organizzato di malasanità deliberata: i medici coinvolti agivano con
dolo (cioè volontariamente) contro l’interesse dei pazienti. La vicenda si
concluse con condanne penali severe per i sanitari responsabili e mise in
luce l’importanza di controlli di qualità e di etica nella pratica medica.
- Errore
di gestione/organizzazione (infezioni e altri casi): Un altro esempio
reale riguarda episodi di infezioni ospedaliere o errori tecnici dovuti a
cattiva gestione. In Puglia, negli anni ‘90, fece scalpore il caso del
nuovo reparto di terapia intensiva coronarica dell’ospedale di
Castellaneta (TA): a pochi giorni dall’apertura, diversi pazienti
ricoverati morirono inspiegabilmente. Si scoprì poi che vi era stato un
clamoroso errore nell’impianto dei gas medicali: le tubature
dell’ossigeno erano state collegate a una cisterna di azoto liquido. Di
conseguenza, i pazienti ricevevano azoto anziché ossigeno e questo causò
otto decessi prima che si capisse la causa (Malasanità
- Wikipedia). Questo terribile caso rientra a pieno titolo nella
malasanità, ma non per un “errore del chirurgo” bensì per una grave
negligenza tecnica e organizzativa nella struttura sanitaria. Altri
esempi di errori gestionali includono pazienti che contraggono infezioni
mortali (come setticemie) a causa di scarsa sterilizzazione in sala
operatoria o in reparto, oppure casi in cui una trasfusione di sangue
viene fatta con il gruppo sanguigno sbagliato per scambio di provette,
causando shock emolitici. Tutti questi sono eventi evitabili con adeguate
procedure: quando accadono, segnalano una falla nel sistema di sicurezza
delle cure.
- Altri
casi emblematici: Purtroppo l’elenco potrebbe continuare. Ci sono
stati pazienti operati al lato sbagliato del corpo (ad esempio,
asportazione del rene sano invece di quello malato), neonati scambiati in
culla o danni durante il parto per errori nell’assistenza ostetrica,
persone rimaste invalide perché cadute dal letto d’ospedale senza adeguate
protezioni o sorveglianza, e via dicendo. Ogni volta che si verifica un
evento del genere, la stampa parla di “malasanità” proprio per indicare
che qualcosa nel sistema sanitario – sia esso l’operato del singolo medico
o l’organizzazione complessiva – ha fallito, causando un danno al
paziente che avrebbe dovuto essere curato e protetto.
Questi casi reali aiutano a capire quanto sia importante la
prevenzione degli errori in sanità e quanto devastanti possano essere le
conseguenze per i pazienti e i loro familiari. Allo stesso tempo, mostrano che,
quando simili episodi accadono, esistono strumenti legali per accertare le
responsabilità e ottenere giustizia.
➡️ Procedure legali per ottenere un risarcimento
Chi ritiene di essere stato vittima di malasanità deve
sapere che esistono precise procedure legali per far valere i propri
diritti e ottenere un risarcimento. Affrontare un percorso legale dopo un
errore medico può sembrare complicato, ma con l’aiuto di un avvocato
specializzato e seguendo i passi giusti, è possibile far emergere la verità sul
caso e ottenere un adeguato indennizzo per i danni subiti. In generale, è
fondamentale agire con tempestività – sia per raccogliere le prove prima
che vadano perse, sia perché ci sono termini di prescrizione da rispettare.
Vediamo quali sono i passaggi da seguire, la documentazione necessaria e i
tempi entro cui intraprendere l’azione legale.
➡️ Passaggi da seguire in caso di malasanità
- Raccolta
della documentazione medica: la prima cosa da fare, non appena si
sospetta di aver subìto un errore sanitario, è procurarsi tutta la
documentazione clinica relativa al caso. Occorre richiedere copia della cartella
clinica dall’ospedale o clinica (che ha l’obbligo di rilasciarla entro
30 giorni circa), nonché conservare tutti i referti, gli esami
diagnostici, le radiografie, le prescrizioni mediche e ogni altro
documento sanitario. È importante anche raccogliere eventuali certificati
medici ottenuti dopo l’evento (ad esempio certificati che attestino le
lesioni subite, referti di visite presso altri specialisti che hanno
riscontrato l’errore, etc.) e qualsiasi elemento di prova disponibile
(fotografie di lesioni, testimonianze di familiari presenti, ecc.). Questa
documentazione sarà la base per valutare il caso e dimostrare il nesso tra
l’errore e il danno subito.
- Consultazione
di un avvocato esperto e di un medico legale: una volta raccolti i
documenti, è consigliabile rivolgersi a un avvocato specializzato in
malasanità. Il legale, possibilmente affiancato da un medico legale
o da un medico specialista di fiducia, esaminerà la documentazione per
capire se ci sono gli estremi per una causa di risarcimento. In questa
fase si effettua una valutazione medico-legale preliminare: uno
specialista esaminerà il percorso clinico e stabilirà se la condotta dei
sanitari è stata al di sotto dello standard dovuto (colposa) e se c’è un legame
causale tra quella condotta e il danno riportato dal paziente. Questa
perizia iniziale è cruciale per decidere se procedere e contro chi. Se
emerge che non vi è stato errore o che il danno non è ricollegabile
all’operato dei medici, l’avvocato potrà sconsigliare di intraprendere
azioni legali (per evitare processi inutili); viceversa, se la consulenza
conferma il sospetto di malasanità, si potrà passare allo step successivo.
- Tentativo
di risoluzione stragiudiziale (mediazione/conciliazione): Prima di
andare in tribunale, la legge prevede (dopo la riforma del 2017) un
tentativo obbligatorio di conciliazione. Questo può avvenire in due modi:
tramite mediazione civile presso un organismo di mediazione, oppure
tramite un procedimento chiamato accertamento tecnico preventivo (ATP)
a fini conciliativi.
- In
pratica, si cerca di trovare un accordo tra il paziente danneggiato
(assistito dal suo avvocato) e la struttura sanitaria e/o l’assicurazione,
con l’aiuto di un perito medico nominato dal tribunale nel caso dell’ATP,
oppure di un mediatore professionista nel caso della mediazione. In questa
fase, la struttura sanitaria potrebbe riconoscere l’errore e proporre un
risarcimento spontaneo, evitando la causa.
Oppure le parti possono non
trovare accordo; in tal caso, ottenuto il verbale di fallita conciliazione
(o l’esito dell’ATP), il paziente acquisisce il diritto di procedere con
la causa civile. Questo passo è importante perché oggi è condizione di
procedibilità: significa che senza aver tentato la conciliazione o
l’ATP, il giudice civile non può poi esaminare il caso. Durante il
tentativo stragiudiziale, il paziente attraverso il suo legale dovrà
presentare i fatti, le prove raccolte e spesso una perizia di parte
che quantifichi i danni, per sostenere la richiesta risarcitoria.
- Azione
legale in sede civile: Se il tentativo di accordo non ha successo o se
la controparte nega le responsabilità, si passa alla vera e propria causa
civile di risarcimento danni. L’avvocato depositerà un atto di
citazione in tribunale nei confronti del medico e/o della struttura
sanitaria coinvolti, indicando i fatti, le violazioni commesse e
quantificando il risarcimento richiesto. Durante il processo civile, verrà
quasi sempre disposta una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), ossia
una perizia effettuata da un medico legale nominato dal giudice, che dovrà
valutare in maniera imparziale se c’è stato errore e quali danni ne sono
conseguiti.
La CTU è un momento chiave: spesso dalle sue conclusioni
dipende l’esito della causa. Se la CTU conferma la malasanità, è probabile
che si arrivi a una sentenza favorevole al paziente, con condanna dei
responsabili al risarcimento. Va ricordato che il procedimento civile può
essere lungo (anche diversi anni), ma in alcuni casi è possibile ottenere
un anticipo provvisionale sul risarcimento se il giudice riconosce
subito la responsabilità e il grave pregiudizio sofferto dal paziente. La
causa civile si può concludere con una sentenza oppure con una transazione
(accordo) tra le parti anche durante il processo.
- (Eventuale)
Azione in sede penale: Parallelamente alla causa civile, se il fatto è
molto grave, il paziente o i suoi familiari possono aver presentato anche
una denuncia penale (querela) per far aprire un’indagine da parte
della Procura. È importante sapere che per alcuni reati colposi in ambito
sanitario (come le lesioni personali colpose) la querela va presentata
entro 3 mesi dall’evento o dalla sua scoperta, altrimenti il reato
non è più perseguibile. In caso di decesso (omicidio colposo) la denuncia
può partire d’ufficio.
Nel processo penale il paziente diventa parte
civile per chiedere i danni all’interno del procedimento. Tuttavia, il
penale ha scopi diversi (punire il colpevole) e richiede soglie di prova
più elevate; non sempre viene intrapreso, se non in casi eclatanti. In
ogni caso, l’eventuale condanna penale del medico rafforza il diritto al
risarcimento della vittima. Anche senza condanna penale, la causa civile
può andare avanti autonomamente.
➡️ Documentazione necessaria per la causa
Per avere successo in una richiesta di risarcimento, è
fondamentale poter contare su adeguata documentazione e prove. Abbiamo
già menzionato la cartella clinica e i referti medici come elementi chiave.
Riassumendo, la documentazione che il paziente (con l’aiuto del suo legale)
dovrebbe raccogliere comprende:
- Cartella
clinica completa: documento rilasciato dall’ospedale che riporta tutto
il percorso di ricovero o intervento (anamnesi, diagnosi effettuate,
terapia somministrata, interventi chirurgici con relativi verbali, decorso
post-operatorio, lettere di dimissione, ecc.). È la prova primaria di “ciò
che è successo” durante le cure contestate.
- Referti
di esami e analisi: risultati di esami del sangue, referti radiologici
(RX, TAC, risonanze, ecografie), referti istologici, tracciati, ecc.
Servono a dimostrare lo stato di salute del paziente prima e dopo
l’errore, e l’eventuale mancata diagnosi di qualcosa di evidente.
- Certificati
medici e perizie: ad esempio certificati del medico curante dopo
l’evento (che attestino le lesioni subite, giorni di prognosi, incapacità
lavorativa), referti di visite specialistiche fatte per rimediare al danno
(es. un cardiologo che riscontra un infarto non diagnosticato in tempo).
Molto utile è ottenere una perizia medico-legale di parte, redatta
da un professionista scelto dal paziente, che descriva l’errore e
quantifichi in termini di punteggio di invalidità il danno biologico.
Questa perizia di parte sarà poi confrontata con quella d’ufficio in
giudizio.
- Documenti
di spesa e ricevute: tutte le spese sostenute a causa dell’errore
devono essere documentate con fatture, ricevute o scontrini. Ad esempio,
spese per farmaci aggiuntivi, per ulteriori interventi chirurgici o
terapie private, per assistenza domiciliare, per protesi o ausili, spese
di viaggio per cure lontano da casa, ecc. Questi costi verranno sommati
nel calcolo del danno patrimoniale da risarcire.
- Prova
di reddito e lavoro (se rilevante): se il danno ha comportato
un’impossibilità a lavorare temporanea o permanente, conviene raccogliere
documenti come buste paga, dichiarazioni dei redditi, attestati del datore
di lavoro sulle assenze, per dimostrare la perdita economica (lucro
cessante) subita.
- Altre
prove: eventuali foto (ad esempio di cicatrici anomale, di condizioni
igieniche in reparto), registrazioni (se il paziente ha registrato
colloqui con medici), testimonianze di chi ha assistito ai fatti o ha
visto le condizioni in cui il paziente versava. Anche linee guida o
letteratura medica possono essere allegate per dimostrare cosa avrebbe
dovuto essere fatto in quel caso rispetto a quanto (non) è stato
fatto.
Tutta questa documentazione andrà consegnata all’avvocato e
sarà utilizzata sia nella fase stragiudiziale (per convincere la controparte a
pagare) sia in giudizio come prove. Più il quadro probatorio è solido, maggiori
sono le probabilità di successo della richiesta di risarcimento.
➡️ Tempi di prescrizione del diritto al risarcimento
Un elemento cruciale da tenere presente è quello dei tempi
di prescrizione, cioè il limite massimo oltre il quale non è più legalmente
possibile richiedere il risarcimento. In materia di malasanità i termini di
prescrizione variano a seconda della tipologia di responsabilità coinvolta:
- 10
anni: è il termine di prescrizione della responsabilità
contrattuale applicabile alla struttura sanitaria. Poiché, come detto,
l’ospedale o la clinica rispondono verso il paziente in virtù di
un’obbligazione contrattuale di cura, il paziente ha dieci anni di
tempo dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (o dal giorno
in cui è venuto a conoscenza del danno) per intraprendere la causa civile
di risarcimento nei confronti della struttura. Questo termine decennale si
applica anche nei confronti del medico libero professionista con cui si
aveva un rapporto contrattuale (ad esempio un chirurgo di una clinica
privata scelto e pagato direttamente dal paziente).
- 5
anni: è il termine di prescrizione della responsabilità
extracontrattuale in capo al singolo medico (quando non legato da
contratto diretto col paziente). Ad esempio, se un paziente è stato curato
in pronto soccorso da un medico dipendente e vuole agire solo contro quel
medico (oltre che contro l’ospedale), la pretesa risarcitoria verso il
medico personalmente si prescrive in cinque anni. Tuttavia, nella pratica,
come accennato, si cita quasi sempre anche la struttura sanitaria proprio
per poter beneficiare del termine più lungo dei 10 anni.
- Termine
dal momento della consapevolezza del danno: è importante notare che la
giurisprudenza ha chiarito come il tempo di prescrizione inizia a
decorrere non necessariamente dal giorno dell’errore in sé, ma dal
momento in cui il paziente ha avuto consapevolezza del danno subito.
Questo è rilevante in molti casi di malasanità in cui il danno non è
immediatamente evidente.
Ad esempio, se un chirurgo lascia per errore una
garza nell’addome, il paziente potrebbe scoprirlo solo anni dopo, quando
viene diagnosticata un’infezione o si sottopone a radiografie: i 10 (o 5)
anni decorreranno da quando il problema è emerso/riconosciuto. Ciò però
non deve indurre a temporeggiare: appena si scopre un possibile errore
medico, è bene muoversi, sia per evitare discussioni sulla decorrenza dei
termini, sia per conservare le prove.
Attenzione: i termini sopra indicati si riferiscono alla
possibilità di agire in sede civile per il risarcimento. L’eventuale
azione penale per reati colposi ha altri termini di prescrizione
(stabiliti dal codice penale in base alla gravità del reato) e, come detto, in
alcuni casi richiede la presentazione di querela entro 3 mesi.
In ogni caso,
per non rischiare di perdere il diritto, la tempestività è fondamentale.
Se si sospetta di essere vittima di malasanità, meglio consultare al più presto
un legale: questi saprà calcolare esattamente le scadenze e magari interrompere
la prescrizione inviando una lettera formale di richiesta danni prima della
causa (atto che “blocca” temporaneamente il decorso del tempo).
In conclusione, affrontare le conseguenze di un
errore medico è certamente difficile per il paziente e la sua famiglia, ma la
legge offre strumenti chiari per ottenere giustizia. Con una buona assistenza
legale e medico-legale, è possibile far valere i propri diritti, accertare la
verità sul caso di malasanità e ottenere un risarcimento proporzionato
al danno sofferto.
Ciò non cancellerà l’errore subito, ma potrà almeno
alleviare l’onere economico e morale derivato dall’evento, contribuendo anche a
far sì che simili errori vengano riconosciuti e (si spera) evitati in futuro.